Canzoneta, va! Jongleurs and Troubadours between Italy and Provence — Murmur Mori
NovAntiqua, 2023
No, non sono morto; ho solo avuto una serie di impegni e preoccupazioni sufficienti a farmi perdere il flusso scrittorio, e non solo quello. Ma rieccoci qui.
Avevo già accennato a questo ensemble a proposito del loro bel disco Dançando la fressca Rosa, ma, come usavo allora, limitandomi a un cenno. E come da mia abitudine attuale, mi dilungo un po’ di più.
L’ensemble Murmur Mori è il frutto dell’incontro in Bologna tra Mirko Volpe e Silvia Kuro, storico lui e archivista lei, trasferitisi poi dalle parti della Val d’Ossola per perseguire la loro visione: dopo gli esordi più propriamente dark folk l’idea è quella di creare, secondo la loro stessa definizione riportata dal sito ufficiale, una “nuova musica antica”. Nella pratica, l’ensemble recupera delle canzoni giullaresche e a tema profano di altri tempi — medievali soprattutto — incrociando la consultazione delle fonti manoscritte originali per le liriche (la musica, specie per i repertori più popolari, spesso non è trascritta) con la conoscenza delle forme musicali allora in uso allora e dei modi popolareschi, allo scopo di musicare le liriche ex novo ed eseguirle con un misto di strumenti moderni (ma mai elettrici!) e ricostruiti, spesso a partire dalle raffigurazioni d’epoca.
L’esecuzione dei brani, sia per le esibizioni che per le registrazioni che comporranno i dischi, avviene sempre senza amplificazione, all’interno di siti storici di cui si sfrutta l’acustica naturale. Le sessioni di registrazione sono poi sempre filmate e rese disponibili come video, in cui possiamo vedere il lavoro anche mimico del gruppo. Questo, oltre a Mirko e Silvia che cantano e suonano parecchie cose (ci torniamo), comprende Alessandra Lazzarini, che suona prevalentemente il flauto traverso in legno, e Matteo Brusa, percussionista e tecnico delle registrazioni. Alla bisogna si aggiunge Nicolò Gugliuzza, alla voce narrante in recitativo, che in quest’occasione non sentiamo. Il duo a capo dell’operazione, oltre ad essere una bellissima coppia, punta anche su una deliziosa presenza social, con aggiornamenti su siti storici delle valli e note storiche e folcloristiche (con tante belle foto a cura di Silvia) e conduce un’esistenza bohémienne e reazionaria che ha tutto il mio plauso; per non dire della presenza e degli abiti di scena, che apparentemente sono anche quelli della vita di tutti i giorni.
La formula dell’ensemble si è dispiegata in forma matura perlomeno nei due dischi precedenti, il Concerto a Montorfano, e, si diceva, Dançando la fressca Rosa, quest’ultimo incentrato sui Memoriali Bolognesi del Duecento. Tutto ciò gli è valso un credito internazionale ragguardevole in rapporto alla nicchia in cui si colloca, e così il tiro si alza un po’: dalle edizioni autonome come collettivo Stramonium si passa alla pubblicazione per la NovAntiqua Records di Roma, promettente etichetta specializzata in repertori antichi e cameristici, con questo Canzoneta, va!. Si parla di poesie musicate, segnatamente repertori provenzali e italiani tra XII e XIII secolo, sempre in una versione rinfrescata più che filologica e in maniera ricostruita — i temi sono pertanto cavallereschi e cortesi, con inserti di brani strumentali composti all’uopo. La registrazione avviene nell’Abbazia di Morimondo, in stile gotico, a sud-ovest di Milano. Nell’avvicendarsi dei brani Mirko presta la sua voce tenorile e ben portata e passa per tre strumenti ricostruiti, dalla guiterne (in italiano chitarra, ma non quella) che possiamo apprezzare nello strumentale introduttivo Toza e in quello di interludio Bal, alla ghironda d’epoca per Anc al temps d’Artus ni d’ara di Aimeric de Peguilhan, con Silvia ai cucchiai [1], più un tamburo a cornice strofinato con una penna d’oca per introdurre lo strumentale Oltremare, per flauto e percussioni. Silvia da parte sua offre le sue prove vocali tipicamente squillanti e leggermente schiacciate e aggiunge nacchere, campanelle e il suo strumento più caratteristico, l’organo a canne portativo [2], protagonista assoluto dello strumentale La Tramontana. Oltre ai brani già menzionati si segnalano il brano a cappella Mamma, lo temp’è venuto, la dialogata Na Guillelma, manz cavaliers arrage di Lanfranc Cigala, la tesa versione di quella Gjamai non mi comfortto di Rinaldo D'Aquino che avete forse letto a scuola, e il conclusivo recitativo di Enoio di Gherardo Patecchio. Il lavoro è tuttavia squisito per intero, con variazioni nell’assetto sempre sorprendenti.
Il disco sarebbe disponibile su Spotify ma ho trovato l’esperienza funestata da estesi tagli a diverse tracce, con lunghi silenzi nel mezzo; vi lascio allora col solo video dell’esecuzione di cui, come vi dicevo sopra, il disco non è che la registrazione in presa diretta.
[1] Fondamentale strumento povero a percussione del revival folk, tipico anche della mia amatissima scena isolana: letteralmente due cucchiai da minestra fatti cozzare tra mano e gamba.
[2] Cioè portatile, con singola tastiera e mantice azionato dall’esecutore. Se ricorda lo harmonium che vedete usare a diversi artisti affini al folk, non è un caso: quello è un organo ad ance, originariamente verticale ma costruito in versione portativa in India. Prodigi del post-colonialismo!