John ‘Spud’ Murphy, il produttore che sta rivoltando l’Ibernia del folk come un calzino, non sta mai fermo; e non pago di quanto fatto quest’anno con un disco della portata di False Lankum dei Lankum, lo troviamo in prima linea con un supergruppo doom folk insieme a un terzetto di talentuose musiciste già sotto la sua ala. Ma andiamo con ordine.
Il progetto ØXN — grafia bislacca, ma si legge come “oxen”, “buoi” — è l’incontro di due accoppiate musicali fuse in un quartetto: da un lato i Percolator, formazione un po’ kraut e un po’ shoegaze da cui provengono lo stesso Spud ed Eleanor Myler a voce e percussioni (il gruppo originario si completa con le chitarre di Ian Chestnutt, che qui non partecipa). Dall’altro lato un’estemporanea collaborazione tra Radie Peat, la mesmerizzante rossa dei Lankum, e Katie Kim, latrice da sola di atmosfere sanguigne e oscure a colpi di synth e di una voce rotta ed abissale — già vi scrissi due righe a proposito del suo ultimo, ctonio Hour of the Ox (ecco il nesso), e vi rimando a quelle. Durante il lockdown, che a questo punto possiamo ricordare come una notte di Walpurga lunga un anno, i quattro si incontrano, cosicché l’ora del bue diventa il giorno dei buoi. I quattro mettono insieme un’esibizione in diretta video per consolare i rinchiusi, e la cosa si estende a un disco di studio uscito sul finir dello scorso ottobre, in tempo per Halloween.
Cosa abbiamo qui? Una bomba delle tenebre, ed esattamente quel che ci si può aspettare da questo incontro di menti: muri sonori elettronici, il gusto di Spud per drone e pedali, Katie abissale, Radie mesmerizzante, Eleanor dalla voce piccola e raggelante rileggono in modo futuribile una serie di tradizionali e cover illustri con particolare attenzione alla murder ballad: il risultato è, si diceva, un doom folk elettronico, sapido e intelligente, ricco di dinamiche e crescendi, percussivo e potente. Se dai supergruppi è lecito aspettarsi una diluizione delle istanze di partenza, ecco che qui le sentiamo esplodere.
Solo sei i brani, tendenzialmente lunghi. Si inizia col primo singolo Cruel Mother, classico della murder ballad su una madre uccisa per contrappasso da un’apparizione dei figli da lei stessa assassinati; Radie racconta la lugubre storia prima con voce sola e poi su un accompagnamento percussivo e pedalato, dal crescendo incessante. Non lunghissimi i brani della parte centrale: la vibrante e pulsante The Feast cantata da Katie e l’ossessivo incedere su tempi medi of The Wife of Michael Cleary; ma a spiccare è il delirio horror del secondo singolo Love Henry, tradizionale già reso famoso da Bob Dylan su una dama che assassina l’amato fedifrago, qui reso con un’escalation sonora che riflette quella della vicenda e con una Radie al suo meglio. Completano l’offerta due “lunghi”: la vedovanza giovanile della celeberrima The Trees They Do Grow High, con una resa pianistica e pienamente goth contrastata dalla vellutata prova vocale di Eleanor; e un finale esteso e rumorista nello stile delle produzioni di Spud con la versione di Farmer in the City di Scott Walker, in cui Kim ci accompagna e poi ci lascia soli verso il motoristico finale, per una resa rispettosa delle atmosfere originali benché del tutto diversa.
Certo, meglio sarebbe stato se ve ne avessi scritto all’uscita per accompagnare il vostro Ognissanti; ma posso sempre approfittare dell’occasione per un altro importante messaggio: la murder ballad è buona tutto l’anno, specie con rese di questo livello. Se avete il minimo interesse per gli sviluppi più futuribili del folk contemporaneo, o anche solo se vi è rimasta nel cuore una scheggia di dark (come lo chiamavamo noi vecchi quando avevamo i brufoli), non pensate per un secondo di farvi sfuggire quest’opera. Mirabolante, e un colpo di coda clamoroso da parte di artisti che così di fresco avevano già dimostrato così tanto.
Vi lascio coi bellissimi video di Cruel Mother e Love Henry girati da Thom McDermott assieme a Katie ed Eleanor, e col disco completo su Spotify.