Dischi '22 #13: Jabel Kanuteh e Marco Zanotti; Katie Kim; Brighde Chaimbeul, Ross Ainslie e Steven Byrnes; King Buffalo
Ancora kora, ancora Celti in tutte le salse, e una scoperta in campo psych che ve la raccomando
Are You Strong? - Jabel Kanuteh, Marco Zanotti (2022)
Vi dicevo della kora l’altra volta a proposito di Toumani Diabaté, e rieccola qui, nelle mani di un altro griot, Jabel Kanuteh, del Gambia. Già nel 2020, sfuggendo al mio (ormai s’è compreso) non affidabilissimo radar il nostro aveva pubblicato un disco assieme al batterista e percussionista Marco Zanotti, che dà anche il suo apporto melodico con la m’bira, della famiglia degli idiofoni (se conoscete la kalimba, più o meno ci siete). Il precedente Freedom of Movement del duo sembra a posteriori un preludio a questo nuovo lavoro, più ambizioso e forte di più potenti mezzi nella forma di numerosi turnisti italiani (proprio nel nostro paese è avvenuta la produzione).
Come dice anche il comunicato ufficiale, Are You Strong? è il nome di un gioco di carte africano che corrisponde anche al nome dell’asso, e un chiaro invito a una sfida, alla presa di un rischio. Il disco in sé si concede varie incursioni seventies, specie nelle tracce d’apertura e più vocali (col sax della title track e la chitarra svisante di Saabu) ma a mio avviso dà il meglio nella parte centrale, col trittico fittissimo di variazioni di Beh mang wonoo, Chemutengure e Itele bensambala. Ad ogni modo il disco è una squisitezza, tanto complesso quando accogliente per l’orecchio grazie al colore brillante di tutto il materiale sonoro; per me un forte incoraggiamento a quell’esplorazione della scena nordafricana che pur da poco avevo intrapreso. Non posso che concludere rimandando alla particolareggiata recensione di Max Giuliani su Mescalina.it.
Hour of the Ox - Katie Kim (2022)
E ora qualcosa di un po’ più tenebroso, con la cantante irlandese (sempre loro!) Katie Kim, sulla scena dal 2008 e di cui, invero, non sapevo proprio alcunché - sempre per la solita faccenda che nei Naughties non seguivo più niente, ed eccomi qui ad arrancare.
Fatto sta che qui siamo al quarto disco, che esce proprio in un periodo in cui la mia anima goth (o dark, come dicevamo ai tempi) ha ripreso a fare un po’ capolino e mamma mia! qui c’è di che sollazzarla, in un contesto indie folk ed elettronico che deve molto alla produzione di John ‘Spud’ Murphy che replica qui l’attitudine rumorista già così ben rodata coi Lankum (sempre loro! E al disco partecipa infatti la rossa fiammante Radie Peat, con cori e bajan). Non posso che apprezzare l’atmosfera glaciale e sanguinolenta della prima parte, con gli ottimi singoli, la martellante Feeding on the Metals fino al lungo mesmerismo sviolinato di Gentle Little Bird. Il disco segue poi a costituire un bel viaggione emozionale dirigendosi su toni più schiettamente folk (specie con I See Old Joy), ma chiudendosi poi in una direzione più terrea e percussiva con Really Far. Notevole il songwriting smithiano (nel senso di Robert) ottenuto affastellando fotografie emotive con poco riguardo per la struttura tradizionale. Inquietante e sorprendente, un disco che mi lascia col dubbio, soprattutto, se Katie sia proprio proprio a posto.
LAS - Brighde Chaimbeul, Ross Ainslie, Steven Byrnes (2022)
Un bel divertissement con lei e lui, Brighde Chaimbeul e Ross Ainslie, giovani promesse della scena caledone e provetti suonatori delle cosiddette smallpipes: si tratta, appunto, di cornamuse, rispetto alle bagpipes dotate di un suono meno forte e squillante che le rende adatte all’impiego in gruppo, capaci di produrre un bordone e con l’afflusso d’aria affidato a un mantice; affini perciò alle Northumbrian pipes e alle più famose e sofisticate uilleann pipes [1] d’Irlanda (conoscete di certo queste ultime solo che abbiate sentito i Chieftains una volta nella vita). Lo strumento, sviluppatosi parallelamente ai cugini, a lungo decaduto (pensate a come anche dei pilastri della scena scozzese come i Silly Wizard affidassero il ruolo alla fisarmonica) e oggetto di un recente revival, è qui suonato nella sua variante in do da due prodigi giovanissimi, affiancati da Steven Byrnes che apporta mandola e chitarra. Non posso che apprezzare le mani d’oro del duo e la loro capacità di mostrare la duttilità dello strumento mettendolo alla prova con generi diversi, tramite brani scattanti quantunque dai titoli un po’ troppo didascalici (chissà che aspettarsi da Bulgarian, Irish o Gavotte Pourlet, mumble mumble). Un pezzo di bravura per appassionatissimi, che lascia la speranza di risentire i partecipanti in un progetto di più ampio respiro.
[1] Pronuncia “ìlen”. L’irlandese è una lingua maledetta.
Regenerator - King Buffalo (2022)
Ah, che scopertona questa! Da Rochester, New York arriva un classico trio… direi stoner, ma loro dicono heavy psych e chi sono io per sostenere che sbagliano? E in effetti non sbagliano proprio niente, specialmente quest’ultimo disco, che segue l’angoscioso The Burden of Restlessness e il racconto di passaggio di Acheron, ambedue del '21 e segnati dai lockdown, rispondendo a questi con una proposta più distesa ed elevante.
Per dire a che cosa ci troviamo di fronte so solo regredire all’adolescenza: questi tre sono una bomba H, con un tiro serratissimo, riff perfetti, atmosfera sci-fi al punto giusto, il disco va giù di un fiato e non ha un momento di stanca che abbia saputo rilevare, presentando una struttura simmetrica e funzionale alla riuscita complessiva di un LP propriamente detto da godere tutto insieme: prima il “lungo” d’apertura Regenerator, uno dei vertici dell’opera, seguito da due “corti” serratissimi (e troviamo il primo singolo, Hours), un interludio nel centro esatto, poi altri due brani più dilatati e ariosi dei precedenti (fra cui il massiccio secondo singolo Mammoth), e infine l’elevazione dell’altro vertice, l’altro lungo Firmament, che è come una summa di quanto si è sentito prima. Ma non perdete tempo con le mie cazzate e sentitelo, maledizione a me che li ho beccati solo ora. Spaziale, in tutti i sensi figurati.