Dischi '22 #17: Anna e Krzysztof Firlus; Antonis Antoniou; Mick Hanly e Mícheál Ó Domhnaill
Un bel misto per chiudere la stagione
Ci siamo; continuo con la serie Dischi '22 e la finisco, perché finisce il '22.
Quel che succede poi è inteso: intendo continuare con Dischi '23. Mi sto divertendo, pian piano sto prendendo il giro; e non mi preoccupa che l’inizio dell’anno sia tradizionalmente povero di uscite, visto che con questo non ho per niente finito, anzi mi considero indietro. Per questo, e per personale allergia alla cosa, la classifica di fine anno non ve la fo.
Cominciamo.
Adrian Robak: Réflexions — Anna e Krzysztof Firlus (DUX, 2022)
Da un po’ sono indietro con le pubblicazioni di musica d’accademia contemporanea, perciò su segnalazione social (buona scusa per il fatto che non ricordo di chi, presumo) ho dato un’orecchiata a questo: due esecutori polacchi imparentati e che non conoscevo — e su cui fatico a informarmi, visto che trovo tutto in polacco —, lei suonatrice di organo e clavicembalo, lui di viola da gamba, contrabbasso e pardessus de viole (la viola da gamba più piccola e acuta disponibile, diciamo) eseguono dei cicli di un compositore sempre polacco e premiatissimo, che non conoscevo affatto: Adrian Robak appunto, tardo X-er e, apparentemente, una vera colonna dell’attuale accademia patria.
Siccome sono un ignorantone, se sento un compositore polacco contemporaneo mi aspetto di venire trasportato nel territorio del leggendario Gorecki; qui invece sono stato stupito, e lietamente, dal trovarmi inizialmente più dalle parti di Ligeti, con gli iniziali 5 pezzi per viola e clavicembalo, che sembrano approfittare dell’esplorazione fatta dall’ungherese sui continui per clavicembalo. Più in linea con la mia aspettativa iniziale sono i cicli successivi, specie i miei preferiti del lotto, il Concerto per viola e clavicembalo e il conclusivo À la recherche d’un maître pour contrebasse et orgue. Più “spinte” e inquietanti mi sono parse le tre inspirations pour l’orgue, in cui oso intrasentire un che di francese, in special modo di Gabriel Fauré, con idee musicali delicate e relativamente accessibili; ma definirei così suppergiù l’intero lavoro, variato nei colori e negli umori col suo gioco molto equilibrato tra ripensamenti di forme barocche e romantiche. Il signor Robak è un tipo da tenere d’occhio, e il disco consigliato, con la raccomandazione di non farsene spaventare: lo orecchierete abbastanza facilmente, e volentieri.
Throisma — Antonis Antoniou (Ajabu, 2022)
È il momento di toccare una delle mie più recenti perversioni: quella per il groove cipriota, che esiste eccome e squassa il Mare Nostrum con la sua energia. A fornirmi l’occasione è il secondo disco solista di Antonis figlio di Antonis Antoniou, vero campione della psichedelia folk nicosiana avendo capeggiato prima i Monsieur Doumani, reinventori della tradizione locale che rendono impossibile restare sulla sedia (pazzesco Pissourin dello scorso anno), poi il Trio Tekke, portatore fresco ed elettrico della fiaccola del rebetiko, il blues dei Balcani (non posso che raccomandare il tragicomico e spintissimo Strovilos, che tanto mi consolò due anni fa).
Il periodo pandemico ha dato la stura al nostro che non sta mai fermo, e quindi eccoci con questa raccolta di stratificatissima psichedelia elettronica nonché anatolica, che non rinuncia comunque ai tocchi di sitar. Il disco erige un muro sonoro coerente e compattissimo, pieno di gioia a-razionale e selvaggia di fronte alle avversità, da godere tutto intero — ma stiamo al gioco della segnalazione delle tracce e raccomandiamo Throisma (“fruscio”), brano di apertura e manifesto di quel che ci attende, la sciallosità di Yiorti (“banchetto”), I Seventies desertificati di Zeybek Anark e il basso che frulla in Skarta dora (“doni inutili”). Se, com’è probabile, a Capodanno vi rompete i coglioni, sapete cosa fare. Acidissimo.
[Remaster] Celtic Folkweave — Mick Hanly, Mícheál Ó Domhnaill (Claddagh, 2022; orig. 1974)
Torniamo del tutto nel nostro elemento e concludiamo con la mia vergogna dell’anno: un disco di folk d’Eriu rappresentativo del pieno del revival bretone, fantastico, fondamentale, imponente, avvincente, imperdibile… e di cui, prima di questa riedizione, non sapevo un cazzo di niente. Me meschino!
A mia parzialissima discolpa, si tratta in effetti di un disco oggetto di un culto sotterraneo, e a suo tempo di scarso riscontro. Parliamo subito del duo, ambedue alla chitarra e voce: Mick Hanly ha avuto le mani in pasta in moltissimo di quel che è stato fatto in quella generazione; il capo operazioni Mícheál Ó Domhnaill sarebbe stato fondatore e cervello degli Skara Brae e di una formazione fondamentale per il trad ibernico quale la Bothy Band; ambedue portano in Eriu lo stile chitarristico che fu già della coppia Renbourn & Jansch, ivi compreso l’uso delle accordature DADGAD e DGDGBD [1]. Negli anni del cosiddetto revival bretone molto si stava muovendo: per ottenere un repertorio più appetibile, che permettesse di sfondare e sognare la California, vengono mischiati repertori di ogni parte delle isole con disinvoltura, facendo passare un filo rosso tra repertori anche scozzesi e inglesi, e la strumentazione cambia profondamente: in pochi sanno oggi che la chitarra nell’ambiente trad celtico era ancora decisamente spregiata, essendo giudicata spesso un cordofono troppo forte e percussivo, in generale inadatto a un repertorio che viveva di melodie adornatissime sorrette da bordoni [2]. Non posso che restare impressionato, sentendo il disco, da come vi senta la maturazione di tanto che avrei amato in gioventù, col duo che mette insieme un po’ po’ di band — Liam O’Flynn alle pipes, Matt Molloy che flauta, Donal Lunny e il suo bouzouki delle leggende, Tommy Peoples al fiddle, Declan McNeils al basso, ci sono tutti, oltre a Tríona Ní Dhomhnaill, sorella di Mícheál, che lo avrebbe accompagnato nelle avventure successive prestando voce e tastiere — e costruisce una sorta di risposta irlandese a formazioni già affermate come gli Span, i Fairport, i Pentangle persino, a quel revival venato di rock e psichedelia; e che il diavolo mi porti! una risposta del tutto all’altezza. Sebbene lo stile generale del disco sia piuttosto dimesso, con sostanziale assenza di suono elettrico, alcuni brani sembrano proprio sfide dirette, come The Banks of the Sweet Primroses (colonna dei live dei Fairport, in una versione che non ha niente da invidiare — e aggiunta in questa edizione, bisogna dire), (No Love is Sorrow) Songbird dei Pentangle (con un arrangiamento che regge il confronto!), un’intensissima Bríd Óg Ní Mháille, che col titolo di Bridget O’Malley si faceva per mare e per terra (celebre la versione dei Silly Wizard di qualche anno dopo, che vince di misura giusto perché della voce terrona di Andy M. Stewart sono invaghito senza rimedio); a chiudere il cerchio ecco un uso ardito e orgoglioso della lingua irlandese, col ritmo formidabile di A Bothán A Bha'ig Fionnghuala e pezzi da novanta come Bíodh Orm Anocht e Éirigh's Cuir Ort Do Chuid Éadaigh. È poi praticamente un manifesto di tre minuti lo strumentale Breton Dances, praticamente il bignami di quel che questi signori stanno facendo. La formazione non durò più di qualche mese, ma tanto bastò. Da godere tutto intero senza por tempo in mezzo; una folgorazione.
[1] Semplice semplice: partendo dall’accordatura standard, per la DADGAD ambedue le corde di mi (E) della chitarra sono abbassate a re (D) e il si (B) a la (A), risultando in una diteggiatura più facile per gli accordi aperti usati in questo repertorio e in una generale maggiore morbidezza delle corde, apprezzata per il fingerpicking. Per la chitarra ritmica è diffusa anche la DGDGBD, in cui si abbassa il la (A) a sol (G) e si lascia il si dov’è. Ó Domhnaill usa questa, mentre Hardy la prima.
[2] È mia personalissima tesi che, in generale, nella musica irlandese trapeli sempre questo gusto della melodia adorna a scapito del groove, e che questo sia alla base del fatto che in molti la percepiscono in generale come una scena, per così dire, un po’ da sfigati. Ma son cose mie.
Invitandovi a pubblicizzare la newsletter a chi pensate possa esserne interessato, concludo coi miei più sentiti auguri di buon anno, e alla prossima!