Dischi '22 #4: Inni-K; Andy Irvine / Paul Brady; Los Planetas; Wovenhand
L'Irlanda conosce solo tempi d'oro, indie spagnolo e pezzi grossi del neofolk
Iníon - Inni-K
Al terzo disco (che è quello davvero più difficile, checché se ne dica) la luminosa cantante ibernica, al secolo Eithne Ní Chatháin (non si legge come si scrive, no) si lancia nella reinvenzione dello sean-nós - il canto gaelico per sola voce, eventualmente arrangiabile. Con arrangiamenti dissonanti e minimali (che confermano la definitiva nuova esplosione del clarinetto nel folk) e una voce diretta, al livello minimo di impurità, la nostra compie un'operazione ammutolente che lascio descrivere alle sue stesse parole. Non so quanto possa essere ricevibile un lavoro come questo a chi non abbia almeno un'oncia di passione per lo sean-nós, nel caso fidatevi di me che vi dico che è bello bello bello.
“The roots of this album reach deep. In my mind’s eye, I see myself, aged 11, at home, tracing my finger across a small dent in the front of the record player and listening to a Gael Linn record that Mam and Dad had, hearing the singing of Seosamh Ó hÉanaí. In that moment, I was transfixed. I became fascinated by sean-nós singing and, through the years since, have explored that compulsion alongside other musical curiosities and influences. Iníon is a circling back to my musical lineage to honour my first deep love of sean-nós song and what has been passed onto me. The same momentum carries me and this music forward, joyfully falling into step with fellow explorers of different musical genres, from jazz to classical, to imagine together and share new iterations of some of the songs I love most from our singing tradition.
I try to be a caring, attentive daughter of our rich song and music traditions, and also hope to be an innovative, curious and adventurous one!”
Andy Irvine / Paul Brady (Special Edition) - Andy Irvine & Paul Brady
Quest'anno, remaster dai nastri originali (e io ancora ho il remaster precedente, che il diavolo se li porti) di questo disco capitale. I due ex Planxty, ex Sweeney's Men, ex rifondazione da capo a piedi del canone del folk dell'isola d'Eriu, nel 1976 decidono di condensare tutto il lavoro fatto - tra inserimento nel canone della chitarra e del bouzouki, modernizzazione della grammatica, e quegli influssi balcanici alla base del suono e del linguaggio dei Planxty che da allora non hanno mai smesso di riverberare - in un'infilata di tradizionali a due, salvo interventi in alcune tracce del bouzouki di Donal Lunny e del fiddle di Kevin Burke. Se avete un grammo di celtomania in corpo dovreste sapere che è un pilastro, e se non lo sapevate, è ora di rimediare.
Las Canciones del Agua - Los Planetas
Ritorno in gran spolvero per il gruppo indie di Granada, con un disco riassuntivo di tutto il loro suono - c'è l'indie, il pop, il flamenco, insomma tutto quello per cui sono noti -, un repertorio di pezzi da lockdown nella seconda parte e l'inizio affidato a Garcia Lorca musicato, in mezzo anche una cover di Khaled (soooooo '90s). Si capisce già da questa sinossi che il disco è molto disorganico e pieno di cose diverse (è un po' un segno di questi tempi, gli album sembrano tornare a una dimensione da compilation, pre-anni '60 - nulla di male in ciò, non necessariamente, ma andrà certo a scontrarsi coi gusti di qualcuno). Restano il solito gruppone chubboso e divertente di sempre, che assieme ad altri gruppi di origine latina mi lascia, ogni volta, con l'amarezza di non vedere un gruppo italiano della stessa caratura che faccia gli stessi numeri.
Silver Sash - Wovenhand
Torna il neofolk veterotestamentario (!) di David Eugene Edwards e compagni, che non si fanno mai mancare niente in termini di estrosità e così confezionano un disco assemblato con registrazioni fatte a distanza da prima che si parlasse di pandemia, tanto meno di lockdown. La composizione è la solita a cui ci hanno abituati, con declamazioni su sottofondo di sciabolate sonore, qui con più aggressività, un po' più di elettronica e tiro (che si risolve in un disco giustamente breve) ma, alla fine, all'insegna del more of the same. È un solido disco dei Wovenhand, le sue virtù e i suoi vizi sono proprio tutti qui.
E con questa, con le schede già apparse su Facebook ho concluso. Da adesso in poi tocca a quelle nuove (con una frequenza di pubblicazione probabilmente più ridotta; invoco clemenza). Alla prossima!