Dischi '22 #6: TRÚ; The Marais Project; Mitsune; Bird in the Belly
Da Belfast a Kyiv a dorso d'anatra, barocco aborigeno, folk nipponico da Berlino, distopie londinesi
Plyve Kacha (The Duckling Swims) - TRÚ
Uno dei dischi che ha fatto il mio ‘21 è stato senz’altro l’esordio dei TRÚ di Belfast: No Fixed Above vede questi tre rapsodi dall’altro mondo proporre tra le migliori miscele di repertorio trad, strumentazione elettrica ed effettistica à la page che abbia avuto la ventura di incontrare; con arrangiamenti sorprendenti, intensi e sensibilissimi, per non dire dei semplici ma magnetici impasti vocali. Tutte queste virtù sono ora distillate nell’arrangiamento di un tradizionale ucraino, da acquistare con un’offerta libera che il gruppo destinerà ad aiuti nelle zone di guerra. Non bastasse questo, il brano è una bellezza, e il gruppo mostra tutta la sua classe conservandone intatto il colore.
Australian Monody: Reflections on Light and Darkness, Love and Loss - The Marais Project
Fa presto a tornare l’ensemble australiano intitolato a Marin Marais, che orbita attorno alla viola da gamba di Jennifer Eriksson e agli liuti e chitarre di Tommie Andersson. È appena dell’anno scorso il bellissimo disco (quasi) a due Two, e già possiamo goderci un progetto per una formazione più estesa. Si tratta di un canzoniere a tema, che alterna i nomi di grandi popstar del passato come John Dowland, Henry Purcell e il padre della musica australiana Isaac Nathan, gli immancabili intermezzi maraisiani e composizioni monodiche contemporanee, secondo due fili conduttori: amore e perdita certamente, ma anche un omaggio all’Australia e alla cultura aborigena. Almeno per me che - confesso - non ho “esperto in compositori australiani” nel CV, sono parecchie le sorprese contemporanee, dall’Alice Chance di Precious Colours (Pallah-Pallah) sulla leggenda della farfalla che perse i colori nella neve dando origine all’opale, passando per Christchurch Monody di Gordon Kerry sul massacro di Christchurch in Nuova Zelanda, fino alla sorpresa dowlandiana (!) in chiusura del disco, la strappacuore Love Me Sweet di Carl Vine. Il livello è tale che persino il Signore delle Tenebre Michael Nyman mi suona pressoché decente, e ce ne vuole. Squisito.
Hazama - Mitsune
Scopro al secondo disco i Mitsune, formazione multi-culti e meticciata di stanza a Berlino con membri giapponesi, tedeschi, australiani e greci uniti dalla missione di mettere in musica lo sradicamento, la vita in una condizione liminale. La strumentazione vede percussioni, contrabbasso e un trio che alterna lo shamisen ad altri cordofoni, con ospiti al seguito; la proposta è un pastiche su base giapponese che non è in ogni caso quello che vi aspettate. Ammetto di trovare la proposta piuttosto curiosa che entusiasmante - salvo i momenti più ipnotici, come la ritmatissima Roku-Go -, e il gruppo mi sembra a tratti effettivamente “perso” come pare temere; ma il piatto rimane ricco e promette bene per il futuro.
After the City - Bird in the Belly
Distopie ne abbiamo? Anche troppe, ma se arrivano mediante dischi così, non siamo ancora stufi.
Questo quartetto folk-rock di Brighton è di grande consolazione per chi, come me, porta il lutto per gli Espers (i miei Naughties questo furono, e più non dimandate), e alla terza propone un concept album basato latamente su After London, romanzo postapocalittico del 1885 del naturalista Richard Jefferies sulla natura che reclama per sé una Londra collassata. Il gruppo ne ricava un disco tra lancinante e melanconico, in cui spiccano la murder ballad novella Jemmy Is Slain e la flautata fine del mondo di Pale Horse. L’Inghilterra ctonia di cui sono innamorato, perfetto antidoto alla recente, tragica pantomima da impero in dissoluzione a base di gruppuscoli decotti. Da godere coi lucciconi, come piace a me.