Dischi '22 #8: Holland Baroque & Bastarda Trio; Topette!!; OKI; Fantastic Negrito
Altro folk dentro e fuori l'Hokkaido, doppi sensi, un maestro del groove e un cambio di registro
C’ho messo davvero un bel po’ dal post precedente; e se posso in parte accusare la caldazza che m’impigrisce, questa non è tutta la storia.
Il fatto è che sono un normie, e come tale vado a periodi. E se per uscire con la frequenza a cui miravo devo sentire ragionevolmente bene quattro novità, la verità vera è che a volte mi faccio trascinare da qualcosa di meno nuovo, o di già coperto - per dire, l’ultima volta ho scritto degli Span e, zac! sono rientrato in fase Span. Succede così.
Certo, poi i quattro dischi nuovi ci sono e ne scrivo di seguito. Ma tenevo a essere almeno un po’ regolare semza forzare la mano, ci sono tanti dischi anche recenti su cui magari vorrei spendere due righe, la rincorsa alle novità inizia a mandarmi un pelo in affanno, insomma, fatta come l’ho fatta sinora la newsletter ha iniziato a sembrarmi un lavoro, la spia infallibile che urge cambiare qualcosa.
Che cosa è presto detto: da adesso in poi l’indicazione dell’anno varrà, come dire, da marcatore di stagione della newsletter (che si chiuderà verso la fine dell’anno solare; e vedrete in che modo, se tutto va bene), mentre mi riservo il diritto di includere uscite non dell’anno in corso, se e quando ciò mi parrà meglio per produrre. Certo vorrò che le novità rimangano prevalenti, e certo, difficilmente riterrò sensato lasciare al mondo la mia su The Dark Side of the Moon (anche perché, che pizza). Ricapitolando, stavolta ancora quattro nuovi e va bene così, dalla prossima provo colà - oppure no. Iniziamo.
Minne - Holland Baroque & Bastarda Trio
Ok, per noi italofoni c’è gran copia di doppi sensi, adesso concentriamoci.
Abbiamo dunque una collaborazione tra due ensemble, il primo olandese e non mi dire (e chissà in che repertorio è specializzato) sotto la guida del primo violino Judith Steenbrink, l’altro un interessante - e per me, finora sconosciuto - trio polacco avanguardista che fa capo al clarinettista e compositore Paweł Szamburski. L’impresa che li unisce è una sorta di concept album sulla poesia mistica medievale, omaggiando in special modo la mistica fiamminga Hadewijch, dell’ordine delle beghine. Il repertorio si compone di arrangiamenti d’avanguardia a partire da repertorio d’epoca, in buona misura di anonimi sebbene si spinga fino a Palestrina e includa lo Spiritus Sanctus di Ildegarda di Bingen, nientemeno. Sulla carta è per me tutto molto goloso, a dispetto della mia abituale diffidenza per le ricomposizioni (Max Richter, sa il cielo se non avrò la tua testa, un giorno!), ma qui siamo di fronte a poca ruffianeria e molto gusto, almeno per le mie orecchie non sante; visto che miracolosamente il colore delle composizioni antiche, nel contesto contemporaneo, si conserva e sfuma in qualcosa di meditabondo, sospeso, ma in tensione e mai salottiero. Da godere tutto intero.
Comunque il titolo vuol dire “amore” nella lingua della Hadewijch, che andate a pensare, ma guarda un po’.
Rhododendron - Topette!!
Un bel gruppone folk di stanza a Bristol ma di formazione mista anglo-francese, propone un mix in linea col recente ritorno in auge nella scena folkettara europea dell’incontro tra le due tradizioni. Curiosa la strumentazione, per cui, se possiamo aspettarci l’uso della fisarmonica diatonica, colpisce come la ritmica sia in mano a una combo bodhrán e basso acustico dove ci si aspetterebbe un contrabbasso, che dà al tutto un piglio abbastanza fresco. Il repertorio è al fulmicotone e fondamentalmente da ballo, con più maestria che guizzi. Se non è chiaro, a fronte di recensioni internazionali entusiaste io lo sono meno e il disco mi pare per appassionatissimi, che comunque si divertiranno mica poco.
[Raccolta] Tonkori in the Moonlight - OKI
No, non l’antidol… Va bene, basta.
Scoperta di qualche anno fa, per un disco fatto in duo coi leggendari Kíla (nel 2006, Kíla & OKI, appunto). L’ineffabile OKI, oggi a capo dell’OKI Ainu Dub Band, porta nell’oggi le radici Ainu - il gruppo etnico stanziato originariamente nello Hokkaido - e l’uso del tradizionale tonkori nel segno dell’Ainu dub, una rivitalizzazione della tradizione che guarda anche a suoni e forme di Asia centrale, africa sub-sahariana e Irlanda (che forza di valicare ogni confine che ha quest’isoletta, occultata da anni di The Riverdance e nenye! Farla finalmente apprezzare per quel di cui è davvero capace a qualcuno in più su questa terra è la mia ragione di vita). Questo disco raccoglie varie collaborazioni tra gli anni ‘90 e i ‘00, a beneficio dei posteri, fra cui si segnalano Iso Kaari Irehte (Bear Trap Rhythm) e Yaykatekar Dub (Love Dub) con Umeko Ando che trasportano l’ascoltatore in dei Seventies dell’altra dimensione, e ovviamente la cullante Oroho Raha (Mokor Mokor) (Sleep, Sleep) dalla collaborazione coi Kíla, perchè sono biased e me ne vanto. Beati siano i montanari e le loro arpe strane!
White Jesus Black Problems - Fantastic Negrito
L’uomo che meriterebbe ponti d’oro solo per il nome d’arte, qualunque schifezza facesse. Ma in più fa della gran roba.
Alla faccia della morte dell’album e di lagnanze simili abbiamo ancora un concept album - una marea ve ne pesco, oh -, il quarto per il cantante di Oakland, che qui porta le sue ambizioni al massimo visto finora. La storia alla base del lavoro è quella degli stessi avi di metà Settecento di Negrito - uno schiavo senza nome, ribattezzato nonno Coraggio, e nonna Gallimore, serva di origine scozzese, che crearono la loro famiglia a dispetto di tutto; un paradigma delle lacerazioni che non smettono mai di ferire gli Stati Uniti e della sfida che possono opporre loro le persone se sanno restare unite. La storia è esposta nel mediometraggio a corredo dell’album, a sua volta un turbine di rock, r&b, roots, blues, country persino, ricerca delle ritmiche africane addirittura (quanto a queste, il primo singolo Highest Bidder è un pastiche formidabile, col suo incedere quasi motoristico); un discone pieno di calore e ritmo, che trascina i generi dell’America al limite estremo, praticamente una messa in musica delle contraddizioni stesse del paese, quasi stridente a tratti per come cerca di collassare forme ed epoche (se Oh Betty è una specie di blues assoluto, Nibbadip e Trudoo sembrano uscite… quando?). Sempre espressivo il cantante, col suo uso intelligente della voce schiacciata e di un’adeguata varietà di registri, sempre ottima la pur scarna band al contorno. Un godimento.