Nella rubrica Giochi del Piffero scrivo dei videogiochi in cui mi sono imbattuto, con un taglio descrittivo e focalizzato su ciò che mi ha colpito e sui collegamenti che i prodotti mi hanno suscitato. Mi sento libero di mettere spoiler, perciò occhio.
La rubrica dei giochi latitava da parecchio, per una semplice ragione: l’interruzione novembrina col relativo picco di lavoro ha comportato, fra l’altro, l’uscita dei videogiochi dalle mie abitudini; situazione questa che non ho saputo correggere fino a tempi molto recenti. Avevo anche pensato di dedicare un post a una parata di demo con impressioni estemporanee, dato che il ritorno in auge delle demo su PC mi sta facendo assai piacere — ma non mi è parsa una buona idea e ho lasciato stare.
Comunque ora ho un po’ ripreso e posso scrivere di un gioco approcciato di recente, con l’ulteriore vantaggio che finalmente posso dire due cose su un genere che ho elogiato tanto senza mai affrontarlo, ovvero i roguelite. Filone cui appartiene, appunto, questo Void Scrappers, che propone la formula nella variante di uno sparacchino immediato e intrigante.
Iniziamo con un pilota (parte di una rosa di una decina da sbloccare) di un’astronavina che si muove in ogni direzione (consigliato l’uso del funghetto di un controller, più che i direzionali) su una mappa a griglia rappresentata in piano ma circolare di fatto, che si affolla gradualmente di astronavi nemiche da abbattere — il primo parallelo che mi è venuto in mente è stato col non più giovanissimo Super Stardust HD, ma lo schema è stato certamente ripreso da altri giochi nel mentre. Interpretiamo degli arraffoni delle stelle e lo scopo è quello di resistere il più possibile e raccogliere scraps, rottami lasciati dai nemici distrutti da accumulare per sbloccare diversi upgrade che si scelgono da un mazzo da cui ne vengono estratti tre alla volta, e a cui si aggiungono nuove scelte realizzando determinati obiettivi prestazionali.
Il gioco è pensato per nostalgici navigati, come si evince dal fatto che non c’è l’ombra di un tutorial e che si tende a dare per scontata l’iconografia generale; e si distingue per un approccio tattico appena coperto da un’estrema semplicità di controllo: si può soltanto muovere la navicella, protetta da tre scudi (se ne perde uno venendo colpiti e, una volta esauriti, si viene abbattuti al colpo successivo) e con un tasto attivare il dash, un’accelerazione di durata limitata durante la quale siamo invulnerabili, utile per allentare la pressione dei nemici e che si ricarica col tempo. Per abbattere i nemici abbiamo diverse armi completamente automatiche, divise per categorie — i classici proiettili, bombe che fanno danno ad area, laser che si dipartono dalla nave e fanno danno per tutta la loro lunghezza, seghe circolari che ci orbitano intorno a distanze differenti — e distinte per comportamento, da quelle del tutto casuali a quelle che agiscono nei nostri dintorni fino a quelle che puntano il nemico più vicino: per colpire chi vogliamo, non c’è che conoscere il comportamento delle armi e manovrare di conseguenza. Si accumulano armi nuove abbattendo dei boss, nemici più potenti degli altri che appaiono casualmente uno alla volta, e una barra della minaccia si riempie lanciandoci contro ondate infinite e sempre più pressanti. Altri eventi casuali comprendono passaggi di meteore e l’apparizione di un paio di bonus da agguantare, nella forma di una ricarica agli scudi e di un magnete che ci fa raccogliere tutti insieme gli scraps rimasti sul piano — il che in genere conduce a diversi upgrade di fila. Tali bonus, insieme ai boss e alle armi rilasciati da questi, qualora non siano visibili direttamente a schermo sono segnalati da icone che ne indicano la direzione generale, da imboccare a nostro rischio e pericolo. La grafica è tutta in pixel art e l’aspetto generale è quello di uno pseudo-retro che rinvia a un Sinistar più lisergico, con sentori di Star Control.
Il meccanismo, si diceva, è quello per me quantomai rilassante dei roguelite, per cui impariamo a giocare pian piano mentre siamo comunque troppo deboli per proseguire più di tanto e nel mentre sblocchiamo nuovi upgrade da estrarre, nuovi personaggi con prerogative proprie (come, ad esempio, la specializzazione in un dato tipo di arma) e guadagniamo crediti con cui acquistare bonus permanenti, che vanno dall’aumento del danno alla riduzione dei tempi di carica di armi e scatti, passando per la quantità di scraps rilasciati dai nemici.
Void Scrappers, oltre che soddisfacente in generale e molto adatto a venire lasciato e ripreso a volontà (non si corrono grossi rischi di dimenticare come si gioca) ha anche un pregio che cerco sempre in giochi di questo tipo: si presta facilmente a giocare mentre si ascoltano dischi, mixtape o musica in genere, dato che il sonoro — peraltro fastidiosetto e decisamente il punto più debole del prodotto — può essere disattivato senza danno, visto che i riferimenti visivi sono più che sufficienti. Non è qualcosa che farei volentieri con un gioco narrativo, ma con giochi di questo tipo lo trovo un bel vantaggio. Per di più riesco anche in un ascolto attento, data la tendenza del gioco a liberare la testa e a mantenere uno stato di quieta concentrazione man mano che le ondate si intensificano. Dopo aver riferito di un paio di grossi smacchi, qui ho piacere di dirmi soddisfatto. Non indimenticabile, ma ho sentito rispettato il mio tempo — la cosa la cui mancanza oggi so meno perdonare a un gioco.
Chiudo con un breve avviso: il ponte primaverile si approssima e di conseguenza ridurrò la produzione, prevedibilmente fino a dopo il primo maggio. L’idea è di fermarmi a un post settimanale, magari sempre di rubriche e lasciando indietro le playlist, ma non ho ancora deciso del tutto. Poi le cose si faranno serie, visto che proprio tra aprile e maggio esce di tutto e di più, ed è bene che sia ben carico — e che magari abbia approfittato del ponte per un po’ di preparazione. Alla prossima!