Naturalmente, un’altra rubrica.
Mentre di nuovo vi lasciavo soli per settimane a sorbirvi non so che robaccia, il mio misero cervello marinato nella reazione e nelle forze ctonie ruminava due questioni: uno, il fatto che non c’è la minima speranza che possa stare dietro a tutto quel che voglio coprire con le recensioni dei dischi; salvo naturalmente che un mecenate non volesse coprirmi di sesterzi per farlo a tempo pieno — con ciò rendendomi l’uomo più felice del mondo — ma la vedo grigia. Due, quando sbaglio (cioè sempre) lo faccio sempre in grandissimo stile, perdendomi un pezzo fondamentale per la strada: diamine, ho creato una newsletter, e una newsletter è una newsletter è una newsletter.
Quindi eccoci qua, col nuovo e fiammante Piffero Roundup: d’ora innanzi vi faccio il riepilogo settimanale delle cose musicali che sono uscite, che mi sono piaciute e che vi voglio segnalare. Chiaro, semplice, si fa anche negli scampoli di tempo e corrisponde al mezzo scelto. Naturalmente non si smette con le schede singole, che peraltro proverò a scorciare un pochino; ma potrò affrontarle con più agio e rilassatezza, forte del fatto che un aggiornamento di qualche tipo comunque c’è — e magari preparandole in anticipo, in modo da poterle rivedere a distanza di tempo e lasciare meno errori (ah, pia speranza).
Il giorno d’elezione sarà il lunedì, ancorché mobile: presto sposterò temporaneamente al venerdì per lasciare il lunedì a un’altra rubrica, l’annuale Playlist dell’Avvento. Ma ogni cosa a suo tempo.
Stavolta andrò particolarmente lungo per coprire cose antecedenti la settimana passata; in seguito sarà tutto più agile e veloce. Condividerò con YouTube laddove c’è un video, altrimenti Bandcamp o Spotify o quello che c’è, giacché YouTube per il mero sentir canzoni è disastroso (le pubblicità nel mezzo, argh!). Andiamo a incominciar.
Iniziamo dal folk anglo contaminato, con un nuovo pezzo dei Mishra, collettivo che ruota attorno al duo di Sheffield composto da Kate Griffin e Ford Collier, il cui Reclaim del '21 mi ha sorpreso per la perizia tecnica, ma meno per l’ispirazione. Qui siamo in un territorio davvero interessante, con un brano registrato in Mozambico e composto insieme a Matchume Zango.
Per ora non se ne sente nulla, ma il formidabile iyatraQuartet, latore sempre nel '21 dello stupefacente Break the Dawn, ha aperto la campagna di crowdfunding per il nuovo disco, Wild Green, che dovrebbe proseguire il discorso avant-naturalistico del disco precedente. Se tutto va bene, il disco esce la primavera prossima.
Il duo roots britannico Honey & the Bear, dalla proposta sempre molto ben suonata e un po’ rustica, sono tornati il 3 novembre con Away Beyond The Fret. Di seguito il singolo Dear Grandmother e il disco intero.
Torna anche il cantautorato della deliziosa Katherine Priddy, dopo l’alquanto clamoroso esordio di The Eternal Rocks Beneath: è di fine ottobre il nuovo pezzo First House on the Left. Ai tempi del disco originale non avevo idea che fosse stata lanciata nientemeno che da Richard Thompson, che la prese come artista di spalla, ma non me ne stupisco: senza che ci siano guizzi d’originalità particolari, la combinazione di arrangiamenti cameristici grassocci, composizione relativamente elaborata e interessante, contralto dal fraseggio intrigante su testi terrei e particolareggiati e fingerpicking morbido e janschiano produce un incantesimo da cui mi faccio regolarmente prendere come un idiota. Interessante qui l’uso di un sottile groove creato con la campionatura di una pendola. Il disco The Pendulum Swing esce a febbraio e vorrò senz’altro coprirlo. Lascio il video e il link alla mia prima newsletter, dove recensii l’esordio.
Torna anche John Smith, nel senso del chitarrista e non di qualche altro milione di persone, con un brano nuovo, la melanconica The World Turns, che non sembra collegato a un’uscita discografica imminente — ci sono dei concerti programmati in aprile, hai visto mai. Composizione francamente convenzionale a fronte di un lavoro chitarristico sempre ottimo. Di seguito video e link alla mia rece dei precedenti The Fray e The Fray Variations.
Spostiamoci in Eriu: ha fatto in tempo a uscire il nuovo disco di John Francis Flynn, pioniere del trad futuribile che a suo tempo ci ha stesi tutti con l’esordio I Would Not Live Always. Il secondo Look Over the Wall, See the Sky è clamoroso e vorrò senz’altro dedicargli una rece estesa; qui mi limito ai singoli: il nonsense tradizionale di Mole in the Ground, il delirio rumoreggiante di Willy Crotty e una versione dilatata e sorprendentemente scorrevole di Kitty, tradizionale che chiudeva Red Roses for Me, lo scaberrimo esordio dei Pogues.
Sua Maestà Rhiannon Giddens ha pubblicato nientemeno che un libro illustrato per bambini, We Could Fly, basato sull’omonimo brano del suo Freedom Highway del '17. Ne risulta un video d’animazione fresco, che lascio qui.
Gli Steeleye Span spingono i loro tour ad usum Boomerorum con sempre nuove uscite discografiche; stavolta un’ennesima compilation intitolata a The Green Man, pezzo di impronta ambientalista scritto dal membro storico Bob Johnson e mai pubblicato. Se il pezzo è anche discreto, sebbene stordito da un ritornello piuttosto vuoto e anzichenò, sono abbastanza preoccupato per il disco: l’attuale configurazione da gruppo pestoso, da ormai un decennio sotto l’egida del produttore Chris Tsangarides (già con Anvil, Gary Moore, Thin Lizzy e svariati metallari), è di certo spassosa quando si tratta di operazioni originali come Wintersmith — concept album in collaborazione con Terry Pratchett che appunto nel '13 seppe rilanciare un gruppo che sembrava bollito fino all’ultima fibra — o come il delizioso kitsch di Est’d 1969 che nel '19 celebrava i 50 anni di attività. Ma ecco, mi piace parecchio meno quando si dedica a smussare gli spigoli delle acide squisitezze che gli Span storici ci regalarono negli anni d’oro. Staremo a vedere. Le animazioni naturalistiche sono veramente carine, comunque.
Rinvio in calce al mio breve excursus sugli Span in occasione della raccolta di ristampe Good Times of Old England dello scorso anno.
Non ve lo devo forse dire io, ma a sorpresa è uscito un nuovo singolo di Julia Holter, Sun Girl, accompagnato da un interessante video in finta stop motion. In generale tendo a guardare con sospetto all’art pop, che mi sembra troppo spesso scivolare nel da me tanto temuto e avversato midcult. Ma Julia Holter è tra quelle che mi stupiscono positivamente più spesso, e anche stavolta sono abbastanza intrigato — soprattutto l’associazione tra suoni e colori lisergici ha davvero il suo perché.
Tornano anche gli Spell Songs! Nel '17 uscì The Lost Words, libro di poesie illustrate per bambini di Robert MacFarlane e dell’artista Jackie Morris, teso a ripopolare l’immaginario dei fanciulli di natura selvaggia. L’operazione si estese a un tour in cui la Morris dipingeva di fronte al pubblico accompagnata da versioni musicate dei versi del libro. A occuparsi della folkeggiante operazione fu un supergruppo a base caledone formatosi allo scopo, appunto Spell Songs, i cui membri principali sono Karine Polwart, Julie Fowlis, Kris Drever dei fantastici LAU e Seckou Keita, suonatore di kora senegalese. Dopo i due volumi in studio tocca a un disco dal vivo, Gifts of Light, che esce il primo dicembre e di cui abbiamo due scampoli freschi e intriganti.
Il prossimo gennaio esce il nuovo disco della stella del bluegrass Sarah Jarosz. Delle sue ultime uscite mi ha colpito assai positivamente Blue Heron Suite di due anni fa, l’appena precedente World on the Ground un bel po’ meno: finora con questo When the Lights Go Out siamo più dalle parti di quest’ultimo, con una prevalenza dell’elemento country e una produzione ruffiana che non sono proprio di mio gusto. Comunque, ecco il video del singolo eponimo.
La sorte ha cospirato per un primo roundup più anglosassone di quanto avrei voluto, e per di più senza materiale colto; perciò chiudiamo la rassegna musicale spostandoci in Brasile, dal sempre delizioso ensemble vocale Ordinarius. Qui con una bella versione di Água de Beber, tradizionale bossanova.
Vi lascio, a sorpresa, con un videosaggio: Tantacrul è un compositore irlandese che fa anche da consulente per le interfacce di software di scrittura musicale, come MuseScore. Attivo anche su Nebula, sul suo canale YouTube rilascia pochissimi video a tema musicale, informatico ed estetico, tutti lunghi come una Quaresima ma sempre meritevolissimi. Nell’ultimo si lancia in una breve storia della notazione musicale standard, con a seguire una rassegna dei suoi problemi e delle alternative proposte nei secoli, e arrivando alle nuove possibilità offerte dai più moderni dispositivi. Ho particolarmente apprezzato l’esordio con cui ci fa entrare nell’ordine di idee mostrando la storia della notazione algebrica degli scacchi, e ho particolarmente goduto delle staffilate a vari tecnofili che, con perfetta sicumera, si lanciano a proporre soluzioni del tutto inadeguate per mera insipienza della materia. Se vi avanza un po’ di tempo, istruitevi.
Bene, è tutto. Vi invito come sempre a piacermi la newsletter, a consigliarmi per mare e per terra e a farmi ogni osservazione che riteniate opportuna su questa nuova rubrica fissa. Alla prossima.