Piffero Roundup #32
Kíla; Barbora Xu; Paolo Angeli; Powtes; SunYears con Sam Gendel e Lisa Hannigan; Siraba
Piffero Roundup è la rubrica con cui tengo il passo delle musiche che ci interessano, raccontandovi un paio di dischi e qualche brano singolo di recente uscita.
Questo riepilogo esce particolarmente tardi per via di un po’ di lavoro extra incorso nella settimana (e di un po’ di pigrizia incorsa nei giorni precedenti, è giusto dire). L’uscita di numerosi singoli da coprire, insieme a questi inconvenienti, mi sta di nuovo facendo sentire la sensazione di lavoro (allarme rosso! allarme rosso!), e mi ha fatto pensare a dei cambiamenti nella formula della newsletter di cui vi dirò meglio nell’aggiornamento di domani, con la nuova playlist e l’editoriale d’estate. Ora è tempo di riepilogare.
Innanzitutto, il ritorno con poco preavviso dei leggendari Kíla, il gruppone di Bray che da tanti anni porta l’Irish trad a conoscere il mondo, e che da tanti anni diradano le uscite — l’ultima uscita discografica era Suas Sios del '15, una mera conferma del suono Kíla più movimentato ancorché piacevolissima, seguito qualche anno dopo dal bizzarro progetto Cúl an Tí, una raccolta di tradizionali arrangiati in irlandese con tanti ospiti e corti d’animazione ad accompagnare il tutto a scopo di didattica della lingua, che ad oggi esiste esclusivamente su DVD (che ovviamente mi sono preso). Nel mentre fioccano i dischi solisti, soprattutto del frontman e percussionista Rónán Ó Snodaigh, tanto frequenti quanto incostanti — che vanno dal carinissimo l’ultimo Capall Bán Fút all’ottimo The Beautiful Road con Miles O’Reilly del '23, passando per cose francamente incomprensibili come i synth da non si sa dove di Tá Go Maith.
Questo nuovissimo Raise The Road vede l’aggiunta di ottoni diretti da Paul Frost per replicare l’atteggiamento festaiolo di classici come Luna Park, ben rappresentato dalla vispa apertura di Disco Pigs, dall’incedere schitarrato di Yakka e al bizzarro Irish funk di Raise the Road; né mancano momenti più raccolti come il botta e risposta tra flauto e trombe della bella Chun Na Farraige Sios e la contemplazione urbana di An Ghealach Ar Mo Thoir. In complesso riesce a confermare le doti del gruppo senza essere deflagrante, fermo restando che un disco dei Kíla non bello è cosa che non si dà in natura.
Nel '21 venni preso assai bene da Olin Ennen, il debutto di Barbora Xu, cantante, polistrumentista e sinologa ceca che mi ha conquistato con la sua voce piena e liquida, la maestria con l’intera famiglia degli zither o cetre da tavolo — prevalentemente il kantele finlandese e il guzheng cinese, di cui rimarca le sorprendenti somiglianze — e non da ultimo, la sua bellezza classica. La proposta era quello di un misto fra tradizionali scandinavi (Barbora ha vissuto a lungo nell’isoletta finlandese di Otava, sebbene di recente sia tornata in patria) e modi accademici cinesi tanto improbabili sulla carta quanto efficaci a udirsi, forte di un approccio naturalistico e teso a suggerire, lasciando la voce lievitare sull’accompagnamento dei cordofoni. Il tempo è passato e Barbora ha partecipato a vari progetti — direzioni di festival, progetti per la conservazione delle foreste finlandesi, e persino una partecipazione alla colonna sonora di Clash of Clans, il famoso strategico per dispositivi mobili — ed eccoci a questo secondo The Garden of Otava, registrato sull’isola poco prima di lasciarla e pubblicato dalla Nordic Notes.
Il disco è espressamente contemplante, con tanto di registrazioni di suoni della natura e inserti elettronici, e per quanto mi paia soffrire di maggiore freddezza rispetto al precedente sa comunque riconfermare il pastiche unico dell’artista, che sembra proporre i tradizionali di un paese mai esistito: se l’iniziale Kiam è di gusto finnico piuttosto chiaro, di Jinwan non si riuscirebbe proprio a ricostruire la provenienza, così come la melanconica e variata Jingtu (Finally) che fa un balzo tra i continenti circa a metà; il tutto si dipana tra corti dal bordone brillante come White Stork Tower e l’ideale dittico di Inhale ed Exhale, e lunghi di ampio respiro come la stessa Jinwan e Hilltop. Si chiude assieme alla viola della dinamica Yuzhong Laide Ni (Found You). Se cercate quella contemplatività che i dischini new age vi promettono e poi sempre vi negano, date un’orecchiata qui.
Torna piuttosto a sorpresa anche Paolo Angeli, l’asso della chitarra sarda preparata di cui mi occupai estesamente ai tempi dei precedenti Rade, straordinario concept sul bacino del Mediterraneo, e Níjar, colonna sonora ipotetica di Nozze di Sangue di García Lorca — a questo secondo dedicai un post monografico che venne ignorato giacché, per dabbenaggine, ne collocai l’uscita in modo pessimo. Per la AnMa il nostro one-man band pubblica questo nuovo LEMA, dedicato alla madre Maria Vittoria, o Maví. Rispetto ai precedenti udiamo un dispiego di tecniche più strettamente chitarristiche al servizio di forme tradizionali sarde — evidente nell’originale medley di danze di Ramadura, cui si aggiungono i fraseggi elettrici di Periplo, lo strum insistito di Sciumara, il pezzo di bravura poliritmico di Conca Entosa e il lungo e ipnotico dispiego di arpeggi e timbriche miste di Maví. In generale più raccolto dei precedenti, e volutamente meno avventuroso, ma a tratti più divertito.
Coi lunghi abbiamo terminato. Ora tocca a un EP da due tracce dei misteriori Powtes, abbottonatissimo gruppo folk a sei di Newcastle che si distingue per un approccio piacevolmente ruvido. Se master kilby è grezza ed enfatica, in green brooms abbiamo uno sviluppo di bordoni e ritmo a forza di piedi non originalissimo (anzi, chiaramente reminiscente di certo trad indipendente di pochi decenni fa), ma espressivo e di potenziale più che interessante. Aspetto volentieri di saperne, e sentirne, di più.
Nuovo singolo per i SunYears, gruppo di Mora in Svezia fondato nel '23 da Peter Morén dei Peter Bjorn and John. Dopo il debutto di Come Fetch My Soul il gruppo torna a riproporre il suo folk-rock immediato ed enfatico con una collaborazione: questa Last Night on the Mountain vede la partecipazione di Sam Gendel anche come autore (ho coperto a suo tempo il bel The Room che ha fatto con Fabiano do Nascimento, andate a ripescarlo!) e il rinforzo vocale della splendida e crudele Regina del mio destinodi Lisa Hannigan, che negli ultimi anni ha fatto un mucchio di cose sfiziosissime e mi sta dolcemente uccidendo con una voce più brunita, più decisa e più bella che mai, ma di pubblicare un disco nuovo di inediti non ne vuole sentir parlare — sospetto a causa di motivi familiari per cui non vuole imbarcarsi in un tour che sarebbe comunque di respiro intercontinentale; giustamente conta sul fatto di poter fare come vuole ché tanto noi fan siamo tutti cotti persi. Tornando a bomba, il risultato è un pezzo dal sapore un po’ marinaresco, che non ribalta il mondo ma scorre bene. Del disco non so dire.
Chiudiamo il riepilogo andando negli studi Real World: i Siraba sono un duo formato da Boubacar Samake dal Mali e Damien Vandesande dalla Francia. I due fondono la musica cerimoniale della confraternita di cacciatori noti come Dozo, di cui Boubacar fa parte, ai beat elettronici forniti da Daniel. Per ora abbiamo due soli brani, per quanto più che interessanti: Dâmba Kéle più trance e martellante, Kôngô più veloce e incalzante. Di un lavoro più esteso non è dato sapere, per ora.
Con questo è tutto per il riepilogo. Come anticipato all’inizio, conto di prepararvi la playlist già da domani facendola quindi uscire regolarmente, approfittando di un po’ di respiro dopo il picco di impegni — vi fate un po’ una scorpacciata, tanto più che per l’aggiornamento ancora successivo prevedo di non parlare di dischi (wink wink). E in allegato ci sarà anche l’editoriale d’estate, con le ultime ideuzze che mi sono balenate in questi giorni. Alla prossima!