Ho iniziato a recensire, o almeno a presentare, dischi di nuova uscita su Facebook a inizio ‘22. Nei tre anni precedenti mi ero limitato a dei lunghi elenchi con un brano per disco, che compilavo alla fine dell’anno approfittando delle vacanze di natale. Erano divertenti a farsi quanto estenuanti alla lunga, e soprattutto, non erano minimamente funzionali. Molto meglio con le schede che ho iniziato a compilare, anche se anni di repulisti della bacheca hanno fatto sì che l’algorismo mi prendesse in odio (è una delle ragioni per cui voglio tenere i social al minimo: semplicemente, non capisco mai a chi mi rivolgo, a chi arrivo).
Se non che, ogni anno mi accorgevo che qualche uscita di mio gusto dell’anno prima era sfuggita al mio radar. Così quest’anno ho alternato le recensioni delle uscite del ‘22 a quelle di tali scoperte a posteriori, a cui ho dedicato una rubrica dal titolo, appunto, di “Schegge di 2021” (credo di aver mostrato a sufficienza che nomi e titoli non sono il mio forte). Non sono i dischi che ho preferito nell’anno e non sono, ovviamente, disposti con particolare criterio, ma per coerenza cronologica comincio con loro. Si nota subito come abbia iniziato a dilatare i testi nel tempo: è accaduto spontaneamente, e proprio per questo, non è detto che non torni indietro.
Cantigas del Codice de Toledo: Alfonso X el Sabio 1221-1284 - Eduardo Paniagua
Uscito proprio alla fine dell'anno, non mi sono accorto del nuovissimo disco di Eduardo Paniagua, che prosegue l'esecuzione integrale delle "cantigas" spagnole, stavolta col Codice di Toledo del tempo di Alfonso X il Saggio. Una grammatica più chiaramete arabeggiante di quella che si sarebbe sentita in seguito in Spagna è la cosa che salta all'orecchio, e l'esecuzione è del consueto, altissimo livello.
Camin Sobiran - Aèdes
Un anno di pubblicazioni febbrili è stato il ‘21, e mi è sfuggito anche questo sconcertante duo dai Pirenei francesi, con un disco di ipnotiche sciocchezzuole a due voci.
At the Bottom of a Canyon in the Branches of a Tree - Steve Dawson
L'Americana da camin... stufa a pellet più rotonda, formulare e chubby concepibile. Che di certo non è un male, e lui come polistrumentista ha più di un perché.
The Eternal Rocks Beneath - Katherine Priddy
Scavando troppo a fondo, accade che mi perdo completamente per strada dei fenomeni, relativamente alla nicchia, piuttosto grossi, come il debutto di questa ragazza di Birmingham incensata da testate e rubriche specializzate lungo tutta la galassia folkofila.
Che dire? Ispirazioni impegnative (tra quelle dichiarate, e riconoscibili, Mr. Nick Drake e John Martyn, mica niente), gestazione compassata, arrangiamenti belli grassi con tutti i turnisti giusti sono il contorno a un repertorio tutto originale, eseguito dalla nostra con la voce come piace a me - chiara, limpida, adorna il giusto cioè, in genere, poco - e il fingerpicking soffice alla Jansch che ci sta sempre bene. Se gli entusiasmi sono, temo, un po' esagerati, a causa di un repertorio in parte acerbo e giovanilistico (a detta della stessa autrice alcuni brani risalgono alla sua tarda adolescenza, e si sente) alcune pretese di aulicità difficili da dominare (con due brani a tema mitologico, fra cui la melanconia esplosiva del pur bellissimo singolo Eurydice) e bizzarri salti di genere (io sono il solito buzzurrone, ma davvero, il country di Letters from a Travelling Man che ci sta a fare?) il tutto è ascrivibile alle incertezze proprie di un debutto, e si tratta di impurità in quella che è, pur sempre, una piccola gemma, varia e grintosa. Il talento c'è, l'attitudine anche - proprio del tipo che ammiro di più, di chi fa ciò che vuole e si prende i propri tempi -, per parte mia la seguo bene attento.
[Remaster] The Woods Band - The Woods Band
Un disco tira l'altro e quindi ho appena scoperto che l'anno scorso hanno rimasterizzato il debutto, risalente al 1971, della coppia ibernica Terry & Gay Woods (lui e lei, rispettivamente). Fuoriusciti dalla prima, effimera formazione degli Steeleye Span i due fecero per un po' da soli e confezionarono questo pezzo da novanta della scena storica del folk revival: con tutte le cose che si portavano ai tempi, dal groove spintissimo all'ariosità bucolica, attraverso il consueto repertorio misto da "tradizione in continuità" che comprende tanto di versione di As I Roved Out di Mr. Christy Moore in persona (sarebbe poi apparsa, riarrangiata, a firma Planxty - le canzoni si davano in permuta, era così, mica le squallide battaglie legali e i duetti mosci dei degenerati d'oggi). In seguito Gay si sarebbe persa un po' per strada almeno musicalmente, con una carriera lunga ma frammentaria ed erratica (nulla di tragico, anzi, sembra che nella vita abbia voluto fare anche altro, ed è tutto); Terry invece si avviò a diventare un Grande Vecchio della scena, essendosi già unito a una colonna portante come gli Sweeney's Men di Andy Irvine e, forse più notoriamente, avviandosi a rafforzare la formazione dei Pogues, di cui divenne la terza mente dopo la ditta MacGowan & Finer - oltre a raddoppiarne il livello tecnico da solo, così a spanne.
Proprio un periodo di riascolto di questi ultimi mi ha riportato a questo bel discone, forse meno fondamentale di altri coevi, ma capace di condensare il grosso di quel che bolliva in pentola in quegli anni ruggenti. Intendo quelli del folk, le altre cose che succedevano, per me, boh.
Per questo debutto come newsletterato (?) è tutto. Fatemi sapere come sembra che vada e criticate senza pietà, sono all’inizio e mi servono riscontri.
Grazie per l’attenzione! Come sempre condividete, amate ecc.
Mi sembra che substack non interpreti correttamente i link alle playlist di youtube, ma solo i video singoli. Per il resto tutto ottimo, in bocca al lupo per questa nuova avventura!