La recensione di The Secret of Kells — giugno 2011
Quando ero smanioso di far scoprire il Cartoon Saloon
Chiudiamo questa rassegna di riciclaggi d’estate con un articolo in cui cercavo di far conoscere un film di animazione allora piuttosto oscuro, specie in Italia: The Secret of Kells del Cartoon Saloon di Kilkenny, casa di produzione che ho nel cuore tuttora. Di questi tempi la casa è decisamente più nota, e nel mentre il film è diventato il capostipite di un’ideale trilogia celtica assieme ai successivi Song of the Sea (forse il migliore nel complesso, una vera delizia) e Wolfwalkers (il più impressionante visivamente — sicché lo è parecchio — ma con qualche calo di ritmo e didascalismo disneyano più degli altri, quantunque sempre meritevolissimo). A questi si aggiungono The Breadwinner, commovente adattamento da romanzo di ambientazione afghana, il più recente My Father’s Dragon, commedia fantasy che non ho ancora visto e di cui non ho particolare idea, e Puffin Rock and the New Friends, in uscita quest’anno e di destinazione apparentemente più infantile. Ciò senza contare i corti. All’epoca del pezzo tutti questi film erano di là da venire e nessuno era stato annunciato (Song of the Sea è di ben tre anni dopo), e per questo non se ne fa cenno.
È stata la mia prima recensione cinematografica ed è l’unica rimastami: in mezzo ci sono state solo segnalazioni lampo di film trash e stroncature di sbobba mainstream, ma sempre nella forma di post su Facebook, che nel tempo ho eliminato — ad oggi, nella mia bacheca personale non resta praticamente altro che condivisioni dalla pagina del piffero, con cui promuovo questa newsletter, o almeno ci provo. Ripensandoci mi rincresce un po’ aver perso quelle pillole, ma non so quanto fossero proponibili altrove.
A proposito dello scritto, ne segnalo il carattere prettamente agiografico (per questo di valore critico troppo esiguo, temo) e il fatto di aver tralasciato ciò che più mi lega personalmente a questo film, ovvero l’identificazione col personaggio dell’abate Cellach, nella cui parabola vedo molto dei rischi che ho corso e che mi aspettano ancora dietro l’angolo. Per il resto, si nota già qui il mio schieramento: me ne sbatto di evitare gli spoiler; trovo senz’altro giusto avvisare che ne metto, ma ne metto senza remore e considero l’ossessione di evitarli una nevrosi collettiva del contemporaneo. Per parlare criticamente di un film che non sia della più spinta avanguardia occorre parlare anche del suo intreccio; e del resto, se un’opera narrativa di qualsiasi tipo risulta godibile solo in forza dei suoi colpi di scena allora non vale una cicca, come state scoprendo ora che l’assuefazione da cinefumetti è al culmine (ma quanto diamine avete resistito? Non riesco a crederci). Fatevene una ragione — voglio dire, basta che leggiate una recensione di venti o trent’anni fa: di cosiddetti spoiler erano gremite, e il termine nemmeno si usava, non importava proprio niente a nessuno.
La polemica è fatta e il dado è tratto, vi lascio subito su note più allegre in attesa del ritorno dei dischi. Ai tempi i miei sforzi di far conoscere il film pagarono abbastanza, e potei vedere più di qualcuno innamorarsene.
Vi è piaciuto quello che combinai qui e vorreste che scrivessi ancora di film in futuro? Ditemelo nei commenti o attraverso i canali che trovate più consoni.
Originale su un’Ars Ludica che cercava di diversificare, qui.
[Avviso: l’articolo contiene indicazioni configurabili come spoiler, sebbene per quanto riguarda il finale abbia cercato di essere abbastanza allusivo. Mi sento comunque di poter affermare che la godibilità del film, che non ha certo il suo punto di forza nell’intreccio, non ne viene compromessa.] [Quant’ero diplomatico! ndr]
Con un indicibile ritardo, capace forse di vanificare lo scopo di questo articolo (visto che avete fatto tutti ampiamente in tempo a sapere di che si tratta), scrivo di un’autentica gemma del cinema d’animazione tuttora priva di una distribuzione italiana, benché sia in circolazione da anni: The Secret of Kells, il primo lungo dello studio irlandese Cartoon Saloon, prodotto con finanziamenti franco-belgi ad opera dei giovani talenti Tomm Moore e Nora Twomey alla regia e Ross Stewart alla direzione artistica.
Ultimato nel 2008 e proiettato all’edizione 2009 del Festival di Berlino, solo del 2010 ha conosciuto una distribuzione statunitense abbastanza fortunata da valergli la candidatura all’Oscar per il miglior film d’animazione, affiancando l’ottimo Coraline e la porta magica nello scontato ruolo di paggio dell’inevitabile trionfo della Pixar. Trattasi di un racconto di formazione ambientato in una fiabesca Éire del’VIII-IX secolo (invero un po’ fuori dal tempo e alquanto incurante della ricostruzione storica), basato su una genesi fantasiosa di un pezzo d’arte realmente esistente: il Libro di Kells, codice miniato considerato tra i lavori migliori nel suo genere e oggi custodito nella biblioteca del Trinity College [e che avrei anche visto dal vero, in seguito, ndr].

A Kells, paesello con annesso monastero cosmopolita, vive il monacello Brendan, orfano di entrambi i genitori e sotto le cure dello zio, il severo abate Cellach, ossessionato dalla minaccia degli Uomini del Nord (una versione disumanizzata dei Vichinghi, ridotti a esseri semibestiali affamati d’oro) e tutto preso dalla costruzione di un muro che dovrebbe, a sua detta, proteggere il paese dagli invasori; e del cui progetto ha riempito le pareti della propria stanza in cima a una torre, simbolo della chiusura del suo animo. Da Iona, isola di Scozia messa a sacco dai Vichinghi, giunge a Kells chiedendo asilo l’illuminato fratello Aidan, rinomato maestro della miniatura accompagnato dal gatto Pangur Bán (omonimo del gatto cui è intitolata una poesia d’epoca) e determinato, nonostante il pericolo, a completare il codice su cui stava lavorando, un capolavoro capace di “trasformare l’oscurità in luce” — e per questo, fin da subito in contrasto col rigido atteggiamento dell’abate. Fatta la conoscenza di Brendan, Aidan decide di iniziarlo all’arte della miniatura e lo invia nella foresta alla ricerca di alcune bacche necessarie alla preparazione di un inchiostro, per far sì che possa iniziare ad apprendere i segreti e le forme della natura. Nel frattempo Cellach, spinto da un malinteso senso di protezione, osteggia il proposito e cerca di costringere Brendan entro le mura, la foresta è piena di misteri e gli Uomini del Nord sono in marcia…
Impostato come un racconto sulla crescita dall’impianto piuttosto classico, il film è realizzato con un misto di animazione tradizionale ed effetti in computer graphic (essenzialmente per i suggestivi effetti di nebbia, luce e riflessi) e sfoggia un impianto visivo in qualche modo postmoderno, teso com’è a proporre in un modo dinamico e vivace degli stilemi di impronta tradizionale che sacrificano proporzioni e plausibilità prospettica alla forza immaginativa: a volte sembra di assistere a una versione dal tratto più morbido dei lavori di Genndy Tartakovsky, l’artista russo autore fra l’altro di Samurai Jack e della serie a cartoni di The Clone Wars, specie guardando alle anatomie squadrate; ma il principale ispiratore dei nostri pare essere piuttosto il Richard Williams del travagliato (e sostanzialmente incompiuto) The Thief and the Cobbler, specie per quanto riguarda lo studio dei volti e la gestualità ardita ed esagerata dei personaggi, soprattutto quelli di contorno e più bizzarri. A questo proposito, The Secret of Kells mostra una forte attitudine al pastiche sia nei flashback e avanti-veloce fortemente iconici, sia nel modo in cui attinge a materiali dell’immaginario irlandese per poi plasmarli liberamente ai propri scopi. Così ad esempio il genere poetico dell’aisling, in cui il cantore dialoga in sogno con un’apparizione matronale, viene fuso con le leggende di popoli ancestrali come il Tuatha Dé Danann e adattato liberamente alle esigenze del protagonista: il risultato è il delizioso personaggio di, appunto, Aisling, ragazzina dai modi ferini e dall’aria spettrale, capace di mutare in lupa e a cui ogni propaggine della foresta si piega come se le fosse devota. La sua condizione di orfana, appena accennata al pari di altri elementi in un sapiente gioco, simile a quello de Il Signore degli Anelli (il libro, s’intende!), di innesti di storie che non ci saranno mai raccontate, la porta a stringere amicizia con Brendan e a prestargli sempre più aiuto man mano che si rende conto dell’importanza del libro. La realizzazione dell’opera si mostra poi ben presto coincidente con la crescita di Brendan, con la sua scoperta del mondo e delle proprie potenzialità, dovendo egli tra l’altro affrontare in uno scontro allucinato il dio-serpente Crom Cruach, secondo tradizione scacciato da San Patrizio e qui usato come incarnazione della paura interiore, il cui occhio di cristallo fungerà da perfetta lente per miniature. La paura assumerà poi la sua forma definitiva nell’assalto degli Uomini del Nord: Brendan fuggirà con Aidan e terminerà il libro in ritiro per poi fare ritorno, ormai adulto, al monastero di origine, dove il libro dissiperà l’oscurità lì dove si era sempre trovata.
Originale e fresco nella direzione artistica, densissimo e di ritmo impeccabile nel racconto, dinamico e capace a tratti di suscitare una commozione puramente estetica (le sequenze della scalata della quercia, coi suoi giochi di prospettive e sezioni, e della canzone di Aisling costituiscono amalgami audiovisivi sbalorditivi) eppure capace di mostrare caratteri memorabili nella loro classicità a dispetto di un tempo di apparizione relativamente breve, The Secret of Kells è una gemma di levigata bellezza, capace di condensare in appena un’ora e un quarto di riproduzione una cornucopia di invenzioni visive con pochissimi rivali nel campo dell’animazione odierna; un risultato superlativo ottenuto con un decimo dei costi di una produzione Pixar e col valore aggiunto di provenire da un paese come l’Irlanda, marginalizzato a dispetto del fascino che esercita eppure evidentemente vitale. Da vedere e da amare, qualsiasi età abbiate.
Come note conclusive segnalo che, come già accennato, il DVD non è distribuito nel nostro paese: dovete ricorrere a venditori online e al doppiaggio originale; se non sapete l’inglese avete un ottimo motivo per impararlo.
Infine, nell’ assai improbabile caso che a leggere qui ci sia qualche appassionato di musica folk come chi scrive, segnalo la splendida colonna sonora, composta dal francese Bruno Coulais ed eseguita dai Kíla, mirabolante e contaminatissima formazione dell’Isola di Smeraldo [ma perché ho usato quest’espressione? Argh, ndr].