Vi avevo detto che avrei preso il volo! Eccoci qui col primo post monografico dell’anno, dedicato a un disco uscito giusto ieri: Shimli di Owen Shiers, in arte Cynefin, vero e proprio astro del folk gallese. Owen mi ha gentilmente fornito il kit per la stampa, e quindi possono scrivervene così di fresco (non ho fatto un’anteprima anche perché non sono così convinto che funzionino bene, ma vedremo. Sappiatemi dire).
Cynefin non è solo un cantante e un (ottimo) chitarrista ritmico, ma anche un ricercatore di colture antiche e di storia culturale del Galles, specie dell’area del Ceredigion (contea centro-occidentale del paese, sulla costa), che distilla le sue passioni e le sue conoscenze in un folk (quasi sempre) rigorosamente nel vernacolo locale, sontuoso, ricco, romantico e cameristico, supportato da un’orchestrina con tutti i crismi e dalla sua chitarra acustica, che suona a dita e padroneggia tanto bene da poter riproporre il materiale anche con un set al minimo. Nel '20 ci aveva stupiti con Dilyn Afon (“Seguendo un fiume”), raccolta di tradizionali arrangiati che dispiegano una musicalità forte e pura, tesa a tratteggiare paesaggi sonori e accompagnare a passeggio l’ascoltatore lungo le storie (ascoltate la dolceamara Y Fwyalchen Ddu Bigfelen, assaporatela e recuperatevi tutto, per la vostra vita). Un esponente di valore della nuova musica, locale e decolonizzata (anche in Europa, esatto) — cosa che, non mi stancherò mai di ripetere, è il paradigma della migliore musica oggi in generale. La decolonizzazione come fenomeno culturale generalizzato è in atto, e non ci sono rigurgiti ai piani alti che la possano fermare. Ma non digrediamo troppo.
Passano gli anni ed eccoci a questo Shimli, un’opera seconda di fattura più impegnativa (ci arriviamo) e più focalizzata: il nome del disco è quello di un’usanza perduta del Galles occidentale, che consisteva in veglie a base di musica e poesia che si tenevano nelle officine e nei mulini a lavoro concluso, o quando era in corso la tostatura. Cynefin cerca ovunque le tracce di questa tradizione bardica — dapprima prestigiosa, poi relegata per qualche secolo ai mulini dove le storie potevano fermentare, e oggi in dissoluzione — le rende omaggio e la restituisce alla memoria collettiva con un’operazione di revival vero e proprio, non dissimile da quelle compiute nei ruggenti Seventies ancorché più rigorosa.
Cyefin ama ricordare che il Galles è il paese europeo con più poeti in rapporto alla popolazione, e intervista diversi beirdd gwlad — “poeti del folklore” — per trarne un racconto da musicare. Shimli è il frutto di tale sforzo.
Il disco è prodotto da Laurence Greed, famoso come curatore di colonne sonore. Il disco ha più respiro, è meno raccolto e di gusto più sinfonico rispetto al precedente, reminiscente in parte di un baroque pop d’altri tempi — non mancano archi, commenti al piano, corni, la sezione ritmica è dominata dal contrabbasso e interviene anche la bella triple harp della connazionale Cerys Hafana (di cui ho elogiato il bell’EP The Bitter, in cui dà un buon tocco goth a un pugno di tradizionali). L’ensemble crea sempre paesaggi sonori di sfondo alle parole, al limite con uno sviluppo in coda.
Data l’eterogeneità del materiale faccio una scorsa traccia per traccia, oggi va così. Si comincia col singolo Helmi, di cui avevo detto già, una poesia di Evan Jones sull’autunno che avanza mentre sono pronti gli helmi appunto, depositi per l’avena in paglia. Dic Jones dedica una poesia al drastico declino della pavoncella musicata in Cornicyll, con un arpeggio melanconico molto reminiscente del primo disco. Segue Mae’r Nen Yn Ei Glesni (“I cieli rinverdiscono”), una carola di Jacob Davies sulla celebrazione della primavera, compassato ma vivacizzato dagli ottoni. Il poeta Isfoel dedica una piccola ode all’assenzio (nel senso dell’erba di cui si sottolineano le doti medicamentose, non della bevanda che se ne ricavava) in Shili Ga Bwd; una campionatura del poeta introduce un brano dallo splendido arpeggio, sostenuto da un piano percussivo, con a seguire una tenue tensione che mette gli archi al centro della scena. Isgarn dedica le sue parole alla figura del falciatore in Y Medelwr, brano in fingerpicking tra i più scarni della raccolta. T. Llew Jones racconta del locus amoenus omonimo in Cwm Alltcafan, una gola in cui ritirarsi; l’andamento è oscillante e il contrabbasso è in primo piano, si distende ancora con gli archi e tenui dissonanze, come l’andamento di un rivoletto. Pryd y Potsiwr nasce dall’intervista fatta dall’artista a Caradog, anziano signore con un passato da pescatore di frodo (cosa spesso necessaria al sostentamento), la canzone è appunto sul “pasto del pescatore di frodo” e trasmette un senso d’urgenza. Cwrw Bach (la “birretta”) rende in modo disteso e sereno una poesia di metà Ottocento di Rees “Amnon” Jones sulla pratica di soccorrere un vicino ammalato o infortunato donandogli il ricavato di un giro di birre. Pont Llanio ha la cadenza di una canzone di protesta, sottolineata da tocchi d’arpa, e parla di un’omonima fabbrica di latte pubblica che divenne un centro comunitario prima della chiusura negli anni Settanta (Cynefin era stato chiamato a musicare un corto sull’argomento). La chiusura del disco è drammatica, con Pysgota (“la pesca”) si racconta della fine della pratica della pesca a strascico, vietata con la riduzione della popolazione di salmoni; e infine con Faerdre Fach, dominata dal piano, sull’omonimo colle fortificato dell’Età del Bronzo il cui nome è finito cancellato dalle mappe allorché i proprietari hanno deciso di aprire lì vicino un giardino zoologico (atto che l’artista giudica di “vandalismo culturale”, come denuncia).
In ogni caso, se non fosse chiaro, siamo di fronte alla conferma di una prima prova già in sé notevolissima, per quanto, come molti “secondi album”, possa risultare un po’ schiacciata dalle aspettative — il che nulla toglie alla squisita fattura, comunque. Se avete interesse per quel che vi ho raccontato non fatevelo sfuggire.
Vi lascio il disco da sentire (e comprare) via Bandcamp, il video di Helmi già proposto, e vi aspetto presto prima con un nuovo riepilogo, e poi con l’esordio di una rubrica nuova di zecca. Alla prossima!