Piffero Roundup è la rubrica con cui tengo il passo delle musiche che ci interessano, raccontandovi un paio di dischi e qualche brano singolo di recente uscita.
Dopo il melanconicissimo editoriale della settimana scorsa, voglio subito tenere fede ai propositi che ho espresso lì e condensare i riepiloghi — a partire già da questo, il primo dell’anno nuovo. Non perdiamo altro tempo e cominciamo.
Perso in troppe cose, ho bellamente trascurato l’uscita del nuovo disco di Angeline Morrison, ambasciatrice del folk straziante arricchito dall’esperienza africana di cui a suo tempo elogiai giustamente e con pieno merito The Brown Girl and Other Folk Songs e The Sorrow Songs, dittico ispirato e potente con cui affondare la testa e l’anima nella tragedia. Questo nuovo OPHELIA è caratterizzato dal tema dell’estemporaneità, una collezione di minuzie che testimoniano di umori e pensieri fuggevoli, apparizioni spettrali subito occultate, a molli indulgenze nostalgiche.
A distrarmene è stata senz’altro l’attesa per il nuovo magnus opus della nostra, The Luminous Dark, concept album a tema alchemico in cui ripongo molte speranze: OPHELIA sembra allora consolidare la tendenza di Angeline ad alternare dischini raccolti a disconi più ambiziosi, coi primi a preludere ai secondi. In particolare qui si tratta di un assaggio meno tenebroso rispetto a The Brown Girl, complessivamente forse meno ispirato, sebbene possa ben ricavare questa impressione da una relativa maggiore leggerezza dell’insieme, più incline alla melanconia, a sentimenti più quotidiani e tenui. In ogni caso il disco conferma la capacità di Angeline di far molto partendo da pochissimo, come testimoniato dal soul silofonato di Clouds Never Move, il tocco da musicarello lisergico di OPHELIA, la tenue angoscia di The Fat Lady Sings, e si assaggia comunque vera inquietudine perlomeno coi tenui pedali di Bright Blessings e He Comes in the Night. Un nutrimento all’attesa, è quel che si buon ben dirne.
Un altro dischino (tanto posso fare per ora), anzi proprio un EP, col ritorno solista di Simon Jones, membro degli Harp & A Monkey (che se si riuniscono e danno un seguito alla brillante carrelleta di “tipi” che fu The Victorians del '20, non mi fanno certo dispiacere). Già vi raccontai di Jones in occasione del bizzarro progetto How Things Work, raccolta di canzoni ispirate ai libri istruttivi della Ladybird Books; per non dire di alcuni interessanti singoli in mezzo. Questo nuovo Lust, Desire & Blood è un omaggio mignon al folk horror di certi cinema e televisione britannici un po’ passatelli, attraverso quattro brani che uniscono “inni pagani” a testi originali nel contesto di brani minimali, tesi a creare un’atmosfera da piccoli incubi ancestrali di campagna. Se If a Tree Grew From Me ha un’aria trasognata e spettrale, più dura risulta We Are a Circle, che non sarebbe dispiaciuta a Terry Pratchett. Più inquietanti la title track e Merrily Bring The Harvest In, e poi non ce n’è più. Un fragrante assaggino del mio pane, dategli un buon ascolto!
Passiamo a un po’ di brani singoli che rinviano a dischi in uscita quest’anno, e che contribuiscono alle ottime, ottime vibrazioni che sento per questo '25 musicale (lo metto per iscritto e mi direte se sbaglio).
Dopo l’anteprima mondiale (per nulla cercata da parte mia, accadde e basta) di quel bel pezzo di disco pop folk che fu Pomegranate degli India Electric Co., rimasi in cordiali rapporti col portavoce del gruppo Cole Stacey. Il quale mi scrisse a fine ottobre per farmi sentire il primo brano tratto dal suo disco solista in uscita — ma come ben sa il più di voi, era appena prima della sospensione delle attività della newsletter! Già mortificato di mio, nel mentre ha fatto in tempo a uscire un secondo brano, stavolta freschissimo. Ahimè!
Il brano di cui avrei dovuto scrivervi allora (sospiro) si chiama Quiet Is Louder e si ispira a Morwellham Quay, ex distretto minerario di epoca vittoriana ai confini della Cornovaglia ora convertito in museo all’aperto (nonché luogo delle riprese del video che vi metto qui sotto). Il pezzo è una bella ballad raccolta con un’atmosfera da “fine delle danze”, che si segnala per una progressione più lineare rispetto ai brani del gruppo e per un uso subliminale di differenti cordofoni a sostegno della chitarra di Cole — specie per un curioso bordone mandolinato che ancora al suolo un brano altrimenti quasi etereo.
È poi di un paio di giorni fa il secondo brano All We Are, è un po’ più perentorio, incentrato com’è sulla celebrazione della forza dell’amore sulla scorta dei versi di una poesia seicentesca di autore anonimo, Love Will Find Out The Way. Contribuiscono al senso di baroque pop (ancorché diverso da quello sessantiano comunemente inteso, e più misurato) l’uso dell’organo Hammond per mano di Jack Cookson e la presenza massiccia della mandola tenore1. Nel complesso più convincente del brano precedente, e davvero molto piacevole.
Il disco Postcards From Lost Places esce a febbraio e lo coprirò senz’altro, con la speranza che Cole sappia perdonare il mio esser bestia.
Questo riepilogo mi uscirà decisamente folk-centrico e va bene così, perché non posso attendere oltre per annunciare il ritorno di quel grosso di Owen Shiers, in arte Cynefin! Lo straordinario musicista e ricercatore gallese ci aveva deliziati quattro anni fa con la musicalità pura e ficcante di Dylin Afon, e torna all’inizio dell’anno con un nuovo disco, sempre a base di recupero di materiale tradizionale e poesie gallesi, con particolare riferimento alla zona del Ceredigion. Per adesso possiamo goderci il folk morbido e sinfonico di Helmi, dedicato ai medesimi, cioè alle capanne in paglia dove si soleva stivare l’avena gallese, varietà la cui coltivazione è gradualmente sparita col tempo. Cynefin non si ferma e ci aiuterà a capire meglio il retroterra dei brani con dei brevi video in inglese; vi includo il primo qui sotto. Shimli esce il 30 gennaio e lo aspetto con trepidazione.
Altro trionfale ritorno è quello della fantastica Lisa Knapp, la cantante londinese dall’arditissimo folk sperimentale che ci ha lasciati senza nuovi dischi dal '17, quando uscì quella gemma di Till April Is Dead ≈ A Garland of May, avventuroso e rumorosissimo concept sulla figura della Regina di Maggio. Stavolta riappare in una formazione a due, assieme al suo produttore di fiducia nonché violinista Gerry Diver, per un nuovo disco, Hinterland, atteso per marzo. Il disco affonderà le mani nel tema della natura più ctonia, e ne abbiamo un assaggio con questa sensazionale Hawk & Crow, dialogo tra uccelli umanizzati su uno sfondo teso e percussivo, con la sottile e ruvida voce di Lisa e i misurati tocchi di fiddle di Gerry a portare nuova, deliziosa inquietudine. Bellissimo. Se vi piace potete prenotare il disco con qualche extra attraverso la campagna Kickstarter aperta dal duo per produrre il disco, e che ha peraltro già raggiunto l’obiettivo. Vi lascio al video animato da Marry Waterson, che aggiunge altro valore a un singolo davvero appetitoso.
Basta anticipazioni per ora. Vi lascio con un altro singolo delle Rheingans Sisters, tratto da quello Start Close In che tanto vi ho elogiato e che tanto ha contribuito a fare il mio 2024 musicale. Si Sabiatz Drolletas è una bourrée chantée in occitano, appresa dalle sorelle in un seminario tenuto a Tolosa dal poeta e cantante Pierre Boissière. Il tema, tipico di tante canzonette danzanti, è quello dell’invito a rimanere scapoli, ché il matrimonio è una trappola — la versione delle Rheingans, aiutata dal tambourin à cordes suonato ad arco, è incalzante e ingegnosissima. Ricuperate il mio articolo sul disco e soprattutto il disco stesso se non l’avete già fatto; se in voi l’albero del folk è inaridito (rio destino! neppure voglio immaginare!), esso saprà bene farvi spuntare un nuovo getto.
E con questo abbiamo finito il primo riepilogo dell’anno e del nuovo corso che voglio imprimere alla newsletter. Alla prossima!
Un mandolino più grosso e accordato un’ottava sotto, né più né meno — il nome inglese è l’infelice octave mandola, che fa pensare a un’accordatura abbassata di un’ottava rispetto alla mandola, non al mandolino. Ad ogni modo, si distingue dal diffusissimo bouzouki perché quest’ultimo ha un manico più lungo e maggiore estensione, risultando più adatto ai bordoni e agli accompagnamenti (in cui viene di solito usato, in effetti) che alle parti melodiche.