La retrorecensione di Star Wars: Rebel Assault — febbraio 2010
Un pezzo, dal taglio un po' sarcastico, su una strana gloria in un contesto oggi scomparso
Come nota dal futuro: se non capite di cosa stessi parlando qui vuol dire che siete giovani e forti, beati voi! O magari no, ma avete iniziato a giocare dalla metà degli anni ‘90, magari con la prima Playstation, conoscete il passato tramite l’ondata di indie nostalgici di oggi e non conoscete questo periodo che quasi nessuno, oggi, pensa a rievocare con giochi nuovi — anche perché servirebbero un green screen e un senso del ridicolo parecchio sotto la media.
Per il resto, non so come mi fosse uscito fuori un dedalo come il secondo capoverso, lo lascio com’era a imperitura memoria. Del resto è in parte così ancora adesso, scrivo denso e la paratassi mi stufa (uno dei motivi per cui ho pensato a un cambio di taglio per la newsletter in generale, ma ve ne dirò a settembre). Si segnala anche un cenno a un discorso sui laser game che avrei ripreso molti mesi dopo, e che sarà oggetto del prossimo aggiornamento.
Ai tempi non avevo consigli da dare su come reperire il gioco all’infuori del mercato dell’usato, oggi lo trovate impacchettato insieme al seguito (che è davvero molto simile, solo un po’ più evoluto) su GOG. Non considero nessuno dei due invecchiato abbastanza bene, e per degli sparacchiamenti disimpegnati è uscito di parecchio meglio anche di recente, ma vedete voi.
Originale su Ars Ludica, qui.
Prodotto e sviluppato da LucasArts
Piattaforme PC CD-ROM (MS-DOS), Mac CD-ROM, 3DO, Sega Mega CD | Pubblicato nel novembre 1993
La rivoluzione del CD-ROM era appena iniziata, all’alba degli anni ’90, ed era abbastanza chiaro che di questo supporto nuovo e smagliante nessuno ancora sapesse bene che accidenti fare. Prima ancora dei lettori per PC, ad aprire la pista furono il Mega CD, celebre estensione tumorale del Sega Megadrive; e il CD-I, cialtronata multimediale della Philips celebre per il peggior controller della storia dell’uomo, ambedue del 1991. Produttori e consumatori, inizialmente, in questa nuova tecnologia non videro altro che la possibilità di inserire Full Motion Video (nei fatti, filmatini pixellosi e spastici), apoteosi del precalcolato e, se andava bene, tracce suonate direttamente da CD. Laddove un anno più tardi la NEC, col suo PC Engine Duo/Turbo Duo (mai uscito in Europa) seppe fare la mossa più intelligente incoraggiando l’inserimento di queste cose come contorno a giochi di stampo classico e lo sfruttamento del maggiore spazio offerto dal supporto per migliorare disegno e animazioni, donando così al mondo tesori inestimabili come Dracula X: The Rondo of Blood e gli sparaspara della Red, e laddove anche il Mega CD fu capace di sporadici scampoli di dignità facendo talvolta lo stesso (Earnest Evans, Final Fight CD e alcune altre conversioni pompate), per il resto si assistette al trionfo di quel calderone che oggidì ricordiamo come film interattivi: sequele di giocacci pieni di attorucoli su sfondi renderizzati, caricando i quali si inorridiva molto e si interagiva poco, in genere senza nemmeno quella virtù che si può riconoscere ai tanto bistrattati laser game (che peraltro avrebbero conosciuto poco dopo le prime conversioni domestiche guardabili — almeno quello!).
Su PC la storia fu un po’ più tarda ma non molto diversa, anche se ci fu maggiore margine per gettare fumo negli occhi grazie all’interazione via mouse: e via con paccottiglia edutainment, classici del trash videoludico come il famigerato The 7th Guest (clicca, aspetta, guarda il filmato dello spostamento, clicca, aspetta, sorbisciti un altro filmato di tizi coi costumi di carnevale del supermercato, clicca, aspetta, risolvi il puzzle decontestualizzato, ripeti o muori), cialtronate di pseudoazione come Megarace e pionierismi nebulosi come il primo Myst, frutto di quei fratelli Miller tanto sognatori quanto, all’epoca, sprovveduti e poco avvezzi al game design (a me la serie piace anche e trovo che i seguiti siano grandi giochi, ma quel che è giusto è giusto); peraltro di immenso successo. LucasArts tentò una via diversa con Star Wars: Rebel Assault.
La licenza di Star Wars è presa come scusa per una sorta di linea apocrifa come era già quella di X-Wing: nei panni del non meglio identificato Rookie One (più o meno come se in un RPG ci chiamassimo Il Tizio Lì) dovremo passare attraverso diversi stage che ci condurranno, man mano, all’attacco alla Morte Nera, e che il diavolo si porti Luke Skywalker. Il filone è quello dello sparatutto a punti da giocarsi di preferenza col joystick e rigidamente diviso in stage; il Full Motion Video è usato in un modo che si rifà a Firefox (1983), antico coin-op dell’Atari su laser disc, ma inserendo molte variazioni sul tema: mentre scorre un percorso prerenderizzato, prefissato e talvolta ciclico (come nell’attacco alla Star Destroyer: si continua a svolazzarle intorno nello stesso modo finché non va giù) dovremo, a seconda dei casi, muovere il velivolo di turno ripreso di spalle per schivare ostacoli, o muovere un mirino da una visuale in prima persona dall’abitacolo del caccia per sparare a bersagli di varia sorta attorniati da marcatori verdi (caccia TIE, cannoni, generatori di scudi ecc.) possibilmente prima di venirne colpiti; o fare le due cose insieme, col mirino che si muove insieme allo sprite. Ogni livello è diverso dal precedente per ambiente e impostazione, assicurando una qualche varietà, e ce n’è persino uno a piedi in cui bisogna stendere gli Stormtrooper che sbucano come tante sagome; senza contare la saltuaria possibilità di scegliere fra due percorsi differenti e di diversa difficoltà. Sovente gli stage cercano di rifarsi a quanto visto nella trilogia di film, specialmente nel primo (cioè il quarto episodio, insomma avete capito), ma con una marcata noncuranza filologica: per esempio su Tatooine ci si va per combattere, e si devono abbattere i baracconi con le gambe che risalgono al secondo film anche se qui il tutto precede l’attacco alla Morte Nera.

I livelli sono inframmezzati da filmati dall’aspetto alquanto posticcio ma più guardabili di tanti altri dell’epoca, grazie alla buona creanza di non impiegare attori ma di servirsi di volti disegnati; si può scegliere fra i tre canonici livelli di difficoltà e ci sono le canoniche tre vite a disposizione, e viene fornita una password ogni tre stage — ricordo bene quanta isteria mi provocò, guarda caso, proprio il terzo, quello con l’A-Wing nel canalone pieno di angustie e le collisioni inaspettate. Tutto nel gioco è precalcolato, inclusi i nemici ed eccettuati solamente i raggi, ci si può scordare qualunque cosa somigli al tatticismo dei simulatori come X-Wing e compagni — dove un approccio ravvicinato a una Star Destroyer come quello che si vede qui ci avrebbe fatto velocemente a pezzi; e tutto si gioca sull’azione immediata e la suggestione cinematografica. Un joystick a due tasti basta e avanza, visto che si usa solamente il primo per sparare e, nei livelli di pura manovra, nemmeno quello.
Rebel Assault fu un action dignitosissimo, veloce, disimpegnato e divertente, ottenne un vastissimo successo di pubblico e critica che gli valse anche un seguito (un po’ fuori tempo massimo, per la verità) e a lungo il PCista che oggi taccia le console di avere banalizzato i giochi ne trasse diletto. Divenne a modo suo un pezzo di storia, assegnatogli dal suo stato di orbo in un regno di ciechi: ossia come il primo, o comunque uno dei primi, titoli basati sulle grasse novità del CD-ROM a cui non fosse una pena straziante giocare.
La sequenza sul pianeta Hoth fu poi chiaramente l’ispirazione per quella di “Star Wars: Shadows of the Empire” sempre della LucasArt per il Nintendo 64. Rebel lo giocai su Windows 95 col joystick, aveva la scorrevolezza di un macigno ma, come giustamente fai notare, per l’epoca era un bel vedere.
La sensazione comunque che non tutto fosse sotto il tuo controllo è una delle feature che meno mi mancano di quell’epoca videoludica!