Nella rubrica Giochi del Piffero scrivo dei videogiochi in cui mi sono imbattuto, con un taglio descrittivo e focalizzato su ciò che mi ha colpito e sui collegamenti che i prodotti mi hanno suscitato. Mi sento libero di mettere spoiler, perciò occhio.
Torno a dire di un altro roguelike, dopo il bel Void Scrappers che è stato l’ultimo appuntamento con la rubrica dei giochi. Stavolta vengo da un po’ di ore trascorse con l’immagino ben più famoso Shogun Showdown, ad oggi il principale titolo della casa Roboatino, che ha all’attivo solo altri due giochini assai minuti.
La formula roguelike è qui applicata a un gioco di combattimenti a turni con elementi di “costruzione di un mazzo”, si dice nella descrizione ufficiale. Messa così si può pensare a uno Slay the Spire o simili; ma la faccenda è in realtà assai diversa. Andiamo con ordine.
Innanzitutto si sceglie un personaggio da impersonare, partendo da uno e sbloccando i successivi progredendo: a distinguere i personaggi sono le caratteristiche di movimento, segnatamente una mossa speciale che serve sempre in qualche modo a riposizionarsi rispetto ai nemici che dovremo abbattere; e l’arsenale di partenza, quel che si intende con “mazzo”: in realtà, se l’acquisizione di nuovi attacchi è aleatoria, durante gli scontri li abbiamo sempre tutti a disposizione, salvo che hanno un tempo di ricarica in turni dopo l’uso — ragion per cui ho trovato fuorviante il riferimento a un mazzo, ma sorvoliamo.

Il gioco è articolato in diversi ambienti che a loro volta si strutturano in stage, alla maniera di un arcade classico. Si passa uno stage eliminando i nemici, che arrivano a ondate in numero prestabilito, e lo stage stesso consiste in caselle su un piano laterale che ospitano tutte esattamente un personaggio. L’idea è quella di eliminare i nemici evitando di venirne colpiti e tenendo conto delle caratteristiche dei nostri attacchi — in termini di gittata, ricarica, direzione, danno e caratteristiche peculiari — come dei loro. Ogni singola azione consuma un turno, dal voltarsi al muoversi passando per l’effettuazione della mossa speciale, l’esecuzione di un attacco o la semplice attesa (con un tasto possiamo passare il turno senza fare niente). Tra uno stage e l’altro potremo, a seconda dei casi, potenziare un nostro attacco con un bonus pescato a caso (tra possibilità tipo aumento danno, ricarica più rapida, stati alterati indotti dall’attacco e così via) e “pescare” un nuovo attacco da una scelta tra due. Ogni ambiente, o gruppo di stage, prevede di affrontare un boss finale, dopo il quale potremo visitare un negozio che vende per lo più potenziamenti permanenti del personaggio.
A distinguere il gioco più di ogni altra cosa sono due elementi: uno è la possibilità, disponibile sia a noi che ai nostri avversari, di impilare gli attacchi presi dal nostro mazzo in una sequenza di tre al massimo, che verrà effettuata nel corso di un singolo turno: fra attacchi bidirezionali, altri che ci fanno spostare, che attirano a noi i nemici e che variano per gittata, l’idea è di creare delle reazioni a catena capaci di abbattere o danneggiare più nemici in un turno, lasciandoci il più possibile in una posizione favorevole alla conclusione del turno stesso. L’altro elemento è il nostro vantaggio precognitivo: siamo sempre noi ad aprire il turno con la nostra azione e, soprattutto, sappiamo sempre che mossa effettueranno i nostri avversari — dove si sposteranno, se si volteranno, quali attacchi hanno impilato e se si accingono a eseguirli, e in quale ordine. La cosa spinge a una pianificazione dei turni quantomai interessante, che richiede intelligenza spaziale, spirito d’osservazione da puzzle game e una considerazione attenta dei non pochi fattori in campo. Il quadro è poi ulteriormente complicato dalla presenza sia di stati alterati, che possiamo sia indurre che subire, sia di consumabili che possiamo usare in ogni momento senza spendere un turno, ancorché in numero ristrettissimo.

L’elemento roguelike è come possiamo immaginarcelo. All’inizio proseguire più di tanto è pressoché impossibile, e dobbiamo accumulare due risorse fondamentali: le monete, che servono sia all’acquisto di potenziamenti del personaggio e di consumabili presso i negozi, sia a ritentare la fortuna qualora la scelta di attacchi e potenziamenti non ci aggradi; e i teschi, ottenuti alla fine di ogni ambiente. La formula è strettamente roguelike e non roguelite, dato che i teschi servono ad acquisire nuove armi e potenziamenti del personaggio che verranno messi a disposizione durante le successive partite, ma sempre entro il consueto meccanismo aleatorio — per capirci, potremo avvalerci del nuovo potenziamento sbloccato solo se incontreremo un negozio che lo vende, e di un nuovo attacco solo se potremo pescarlo. Non c’è alcun potenziamento permanente da portarci dietro fin dall’inizio della partita, salvo i nuovi personaggi (in effetti più forti di quelli iniziali) e una variante dell’arsenale di partenza da sbloccare attraverso l’acquisizione, assai impegnativa, di alcuni trofei. Se rimane palpabile il lento ma inesorabile senso di progresso garantito da questo tipo di giochi, ciò non toglie che occorre imparare a giocare davvero bene e, soprattutto, che una partita può concludersi presto semplicemente perché siamo capitati male con gli alea del gioco.
Il gioco in sé è compulsivo il giusto e molto stimolante, senza contare che permette di giocare anche sentendo i dischi1; d’altra parte offre una sfida molto estesa a fronte di una varietà non all’altezza di tanta copia: alla fine di una partita, giunti in fondo alla mappa, dobbiamo affrontare il boss finale — il demoniaco Shogun del titolo —; il che si fa sulle prime alquanto facilmente, ma solo per scoprire che va sconfitto di nuovo in giornate successive, che prevedono di esplorare una nuova mappa con nuovi boss più forti e l’apparizione casuale di varianti più potenti dei nemici. Le giornate sono ben sette, a difficoltà crescente e aggravata dal fatto che ambientazioni e nemici non cambiano in modo sostanziale e che, soprattutto, ogni personaggio deve completare il ciclo di giornate indipendentemente dagli altri, a partire da quello in cui lo abbiamo sbloccato in avanti. Un invito a migliorare sempre nell’esplorazione delle meccaniche di gioco, sì, ma anche a un impegno davvero intenso e prolungato, vista anche la difficoltà di sbloccare i personaggi nuovi. Una scalata simile a quella dei vari Diablo e dei suoi molti epigoni, ma senza quelle caratteristiche di gioco cooperativo e collezioni da completare che aiutavano a perseverare nel loro caso. In questo senso un approccio roguelite, ovvero lieve come dice la parola, che ci permettesse quantomeno di vedere una conclusione all’orizzonte, sarebbe stata assai gradita da queste parti — in altri termini: bello, sì, ma dopo un po’ l’ho mollato; sono troppo vecchio e stanco per tanta applicazione. In ogni caso, per essere in pratica un debutto, un’ottima prova.
Se dovessi dare le pagelle (i deva me ne scampino e liberino), questa caratteristica varrebbe un 9 di base, con tutto il resto ridotto a decidere dei decimali. Sono un pifferaio semplice.
Lo aggiungo alla wishlist!