Salve a tutti! Come da titolo, vi aggiorno un po’ su quel che ci attende in questi lidi. Il primo proposito è quello di fare una cosa sciuè sciuè e non metterci molto, ma vediamo.
Per prima cosa, ho dato una buona sfrondata alla mia presenza social: già da tempo la mia presenza sulle piattaforme di Meta era del tutto dirottata sulla promozione della newsletter, tanto che su Facebook avevo già eliminato il mio profilo personale di anni. Ora, rimasto estremamente insoddisfatto dei risultati e vedendo tali piattaforme degradare sempre di più, ci ho dato un taglio. Su Facebook, Instagram e Threads non mi troverete in alcuna forma, ed è quanto.
Chi mi seguiva su Facebook forse avrà a obiettare che la pagina, per quanto inattiva, non sembra essersi mossa da dove stava. È vero, e c’è una spiegazione.
Ero deciso a cancellarla alcuni giorni fa (del che avevo dato congruo avviso), salvo scoprire con sgomento che Meta mi aveva privato dell’opzione di farlo: i tutorial sparsi per la rete, per quanto recenti, mi indirizzavano a un percorso che all’atto pratico non c’era. Anche il suggerimento di inserire a mano l’URL per la procedura si è rivelato vano; riuscivo ad accedere, ma la procedura si chiudeva sempre con un messaggio d’errore. Ho così fatto ricorso a un’estrema risorsa, cancellando il profilo personale fake che usavo per amministrare la pagina (e che Facebook obbliga tutti i gestori di pagine ad avere), il che mi è riuscito senza intoppi: la pagina pertanto non è che vestigiale, non potendovi accedere io stesso — se non riattivando il profilo del gestore, il che non farò. La mia speranza è che, con la cancellazione definitiva del profilo personale prevista a fine maggio, la pagina venga soppressa in quanto orfana. Ad ogni modo, se potevo avere un’ombra di dubbio sul fatto di lasciare quel ricettacolo di nequizie, assistere a una condotta tanto scorretta e, francamente, disgustosa l’ha estinto del tutto.
Come per molti altri, annullare la presenza social (quantunque non completamente, se è vero che piattaforme come YouTube e Goodreads rientrano nel novero) è stato scombussolante, e mi sono scoperto in cerca di distrazioni che rimpiazzassero quella fruizione che, per quanto sempre più passiva, non era certo nulla. È stato, confesso, un parziale ritorno a una delle mie vite precedenti: quella da hikikomori al tempo del web 1.0, col suo carico di piccole compulsioni internettare. Nella situazione attuale non c’è niente di paragonabile alla mia gioventù bruciata, sia chiaro; ma nel contesto di una vita adulta, in cui il tempo libero è assottigliato rispetto ad allora, ho comunque accusato il colpo — per non dire di quel piccolo trauma che è stato perdere un surrogato di quella socialità che non sono mai riuscito a riportare ai livelli antecedenti il fatale '20, almeno finora (a margine, credo che a livello di società lo stress post-traumatico da Covid non sia esaurito affatto; ma ciò sarà forse materia per un altro giorno). Mi conosco abbastanza bene da sapere che sto rientrando in carreggiata, beninteso — ma ho sottovalutato il problema, devo ammetterlo. Se non altro, assistere alle conseguenze mi ha confortato nell’idea di aver fatto la scelta giusta.
Cosa bolle in pentola quindi? Innanzitutto la sedicesima iterazione del Piffero Roundup è in cantiere, devo solo mettermi di buzzo buono a finirla e conto che sarà presto. Con la primavera inoltrata le uscite fioccano e non ci si può fermare. Nel giro di qualche settimana, anche gli impegni personali dovrebbero perdere un po’ di presa
A differenza della primavera scorsa, niente Piffero Reportage imminenti, purtroppo, e spiace a me per primo — ma qualcosa bolle in pentola perlomeno dopo l’estate, abbiate fede.
Sul fronte dischi più in generale, il modo in cui mi sono assicurato la mia prima anteprima e un’altra futura (su cui mantengo per ora il riserbo), unito alla frustrazione da social di cui sopra, mi ha reso più intraprendente: per farla breve, sto lasciando cadere gli scrupoli e prendendo gusto a scrivere mail ai musicisti con richieste di materiale. La cosa farà sorridere qualcuno ma per me è un discreto evento, abituato a vivere nascosto come sono. Vedremo dei frutti, voglio sperare.
Per l’ultimo punto, inizio ricollegandomi ai programmi per l’estate: l’anno scorso avevo riproposto delle mie vecchie recensioni di videogiochi, che sono state accolte con più calore di quanto prevedessi — salvo alcune che, immagino perché inviate in agosto in giorni poco propizi, sono stati i maggiori fiaschi di questa newsletter in termini di visualizzazioni; ma era nel conto. Per quest’anno non ho in mente altro che andare avanti normalmente, al limite rinviando qualche aggiornamento a settembre. Salvo una cosa.
Insomma, mi sono ringalluzzito e ho deciso che ogni tanto, senza programmi né cadenze definite, scriverò cose nuove su videogiochi, in una rubrica dedicata a cui non ho trovato nome migliore di Giochi del Piffero.
A smuovermi è stato il fatto che ho smesso di pormi il problema della formula da usare. Il videogioco è un medium verso il quale, negli anni, ho ridotto l’investimento emotivo, con cui ho un rapporto da tempo non più regolare e caratterizzato da un andamento a ondate, che mi lascia sovente irrequieto e che trovo mancare troppo spesso di rispetto per il mio tempo. Le produzioni d’alto bordo non mi attirano ormai quasi più (vedo dei sussulti giusto nell’industria giapponese), ho sempre più problemi col carattere compulsivo di molte produzioni e anche solo l’eccesso di stimolazione audiovisiva mi mette sempre più in difficoltà1; né riesco a pensare di agognare una delle nuove console: posso giusto prendere in considerazione, idealmente, il Nintendo Switch, ma c’è di mezzo anche uno stringente fattore materiale che va sotto il nome di “non c’ho una lira” — che il panorama indie sia così orientato alla fruizione sul computer dell’Everyman mi viene in grande soccorso. Con tutto ciò è in via di formazione una mia nuova visione del videogioco e del suo stato, e ho gusti ormai decisamente definiti, ma preferisco dirvene via via.
Ma la formula, quindi? Presto detto: come annunciavo proprio l’estate scorsa, ho chiuso col genere della recensione classica; se non ne leggo più io stesso, non riesco a pensare di farne. Prenderò le mosse da qualcosa a cui ho giocato, o a cui sto giocando, e andrò a braccio, secondo il buon vecchio metodo dei tentativi ed errori — proprio come ho fatto coi dischi, e come mi va. Credo sia ormai chiaro a sufficienza che non sarò mai sul pezzo, né regolare, e non ci proverò nemmeno; e non avrò ambizioni all’infuori dell’essere la voce di un appassionato. Non definirei questa newsletter una storia di successo (e me ne interessa relativamente), ma dalle storie di successo su Substack ho imparato almeno una cosa: un taglio personalissimo può forse pagare, mentre il contrario non può mai; e i precetti da promozione social servono solo ad appiattire tutto su un minimo di potenziale. La newsletter è per me un oggetto d’amore e ci faccio quello che voglio. D’altra parte, se anche cercassi di farmi un nome per lavorare nella stampa videoludica, non potrei scegliere un momento più sbagliato.
Per chiudere, in tema di videogiochi raccomando la nuova newsletter La Finestra Chiusa di Simone Tagliaferri, che saluto e con cui mi felicito per essersi finalmente deciso ad aprire una newsletter. Per ora vedo che sta riproponendo molto materiale risalente al vecchio blog omonimo e ad Ars Ludica, per cui scrivevo anch’io al tempo che Berta filava ma che è sempre stato, innanzitutto, una sua creatura.
E per un po’ di prospettiva storica, non solo in campo videoludico ma informatico in senso lato, rimando di nuovo con piacere a Quattro Bit di Andrea Pachetti, un altro dei mei fanZ che sta facendo un ottimo lavoro.
Per questo editoriale è tutto, alla prossima!
Al di là dei videogiochi, preferisco i podcast ai video per questa sola ragione: è coinvolto un senso solo. E se qualcuno si chiede come faccio a sentire tanti dischi, uno dei trucchi è proprio che sono tra i modi che preferisco per passare una serata in solitaria. Né voglio sostenere di non aver mai ceduto in vita mia alla tentazione del bingewatching di qualche serie, ma: mai più. La sua natura di espediente per arrestare il flusso emotivo mi è troppo evidente, ormai mi è impossibile.