[Anteprima] Pomegranate — India Electric Co.
Shoelay Music, 2024 per la prima anteprima del Piffero!
Non provo neanche a fare pianificazione per la newsletter, e a ragion veduta.
Cominciamo dal principio: la volta scorsa vi proponevo Pomegranate, brano eponimo dell’imminente nuovo disco degli India Electric Co. Parliamo di un virtuosistico e polistrumentistico duo britannico, composto da Cole Stacey, che è anche frontman e voce principale, e Joseph O’Keefe, più defilato e dedito alle elettroniche e agli strumenti a tastiera, piano in primis; cui vanno aggiunti dei turnisti alla batteria e percussioni, Russell Field in testa. I due propongono un folk/pop sofisticatissimo all’insegna di una visione del folk come, innanzitutto, incontro di culture: alle influenze eminentemente irlandesi e gypsy jazz degli inizi si uniscono suggestioni dal Brasile, dai Bembe della Tanzania — il volano per una sempre più spinta ricerca ritmica e poliritmica —, da Cuba attraverso i Buena Vista Social Club, passando per artisti più prossimi come Radiohead e Joanna Newsom; da un tale guazzabuglio il duo distilla, con sensibilità e attenzione tanto alla tradizione quanto al pop, canzoni, rigorosamente di media durata e gremite di tesori. I testi sono piani, evocativi, perfetti nel loro evitare di mettersi in mezzo e lasciare agio alla voce tenorile e leggera di Cole; i brani dispiegano strumenti a profusione (piano, archi, cordofoni, percussioni, elettroniche, una messe di roba), partono dalla struttura più consueta per poi imprimerle svolte inattese e infine collassarla in momenti improvvisativi; il tutto con un gusto strettamente, morbidamente analogico. I dischi della compagnia elettrica sono come un cesto di ciliegie, una parata di dolciumi mignon dai gusti misti, scorrono, sorprendono, satollano apparentemente, ma poi lasciano la voglia. Ogni volta mi ci accosto con una sottile trepidazione, vengo travolto, poi cullato, sempre sorpreso, e infine consolato.
Il debutto discografico risale al '13, con un disco folk estroso ancorché acerbo come On Hire, intestato a Cole Stacey & Joseph O'Keefe; seguono The Girl I Left Behind Me un paio di anni dopo e con l’attuale nome, su toni ancora fortemente ibernico-gitani (!) ma con più coraggio e azzardi prog; una trilogia di EP sul contrasto fra città e campagna; e infine la, come si suol dire, consacrazione nel difficile '20, col sensazionale The Gap. I due iniziano a farsi sentire di più e più forte, forti di pezzi come Wicked Game, Parachutes, Statues e Great Circles, impreziositi da video ricavati da corti d’animazione che, da questo momento, saranno un marchio di fabbrica — per non dire dei live, sentiti e perfetti. Passano quattro anni ed eccoci a un passo oltre con Pomegranate.
Ma ora vi sento protestare: “Arruffone di un pifferaio, ti sei fatto vedere a sdilinquirti ma all’inizio accennavi alla pianificazione della newsletter. Si può sapere che c’entra?” E avete ragione, mi son fatto trasportare! Il fatto è che Pomegranate è in uscita il 5 aprile, e tuttavia posso dirvene ora, dopo giorni in cui ho potuto sentirlo: infatti, all’uscita del riepilogo, come da prassi lo condivisi sui social taggando il taggabile; ed ecco che, come già avvenuto altre volte, gli artisti si accorgono di me mediante Facebook. Un commento dalla pagina ufficiale del gruppo mi esorta a mandare un’email, eseguo e Cole in persona (che saluto e ringrazio ancora, se mi legge) mi manda il materiale per la stampa, compreso il disco in formato digitale — e così ho modo di donarvi, per la prima volta, un’anteprima1. Lo so che per i critici coi blasoni è niente, ma per me è un’emozione, e il segno di un altro passo avanti in questa mia avventura.
Ora, che dirvi? Che la compagnia elettrica si è scatenata col disco più esteso della sua carriera, e mamma mia!
Prescindendo dai singoli After the Flood e Pomegranate che ho già elogiato in altra sede, qui c’è di tutto: la poliritmia2 fa capolino nell’oscura Embers (ispirata a Rachmaninoff, nientemeno) e nella proteiforme e incalzante Boat Beneath the Sky (ispirata alla poesia omonima di Lewis Carroll); What Keeps You fa il verso ai Radiohead più efficaci e meno scostanti ricordando lo sviluppo incalzante e isterico di una 15 Step. È poi intenso l’uso del buon vecchio moog (la pulsante Balancing Act, il semiacustico omaggio ai Sylvan Esso di Better Unsaid); abbiamo anche dubstep e drum&bass in analogico grazie a un ottimo lavoro percussivo (Sirens, Patterns), oltre a suggestioni capoverdiane (la variatissima Cascade è debitrice a Cesária Evora), cambi d’umore costanti (una ctonia Patterns si alterna a una provocatoria e ariosa Glass Houses) e un crescendo in un trittico ottimistico e solare in chiusura con The Gaps, una più ambigua Fancy Free e una Face to the Sun che a me sa un po’ di Burt Bacharach, se non ho le traveggole. In sintesi, il pop come dico io insieme a del gran folk come dico io, in un disco da godere tutto intero, suonato a puntino, variegato, succoso, bellissimo.
Vi lascio i video di After the Flood e Pomegranate oltre al disco su Bandcamp; fino al 5 aprile l’ascolto è limitato alla sola After the Flood e si può solo preordinare il resto — avrò premura di ricordarvi l’uscita a tempo debito, naturalmente.
Per il resto, vi auguro buona Pasqua (non conto di riuscire a farmi risentire prima, la carne al fuoco è troppa) e alla prossima!
Era successo qualcosa di analogo col Karkum Project, ma lì mi ero svegliato tardi e così la richiesta di contatto mi giunse a disco già uscito.
La sovrapposizione di ritmi diversi fra loro in uno sviluppo orizzontale, al modo in cui la polifonia intreccia orizzontalmente linee melodiche differenti. È un importante lascito delle nuove influenze post-coloniali, essendo cosa completamente sconosciuta nel nostro canone classico.