Piffero Roundup #26
Brigid Mae Power; Elisa La Marca; Yasmine Williams; The Langan Band; Marianne Faithfull
Piffero Roundup è la rubrica con cui tengo il passo delle musiche che ci interessano, raccontandovi un paio di dischi e qualche brano singolo di recente uscita.
Riepilogo formulato in modo un po’ diverso dal solito, per via degli arrivi. Cominciamo.
Per la prima volta sulla newsletter presento qualcosa di Brigid Mae Power da Galway, che ho sempre finito per mettere in coda e infine tralasciare (mea maxima culpa). La cantautrice si distingue per uno stile tra folk e dream pop squisitamente passatista, settantiano, etereo e languido, nonché sottilmente oscuro e melanconico, che vede la consacrazione nel '20 con un discone come Head Above The Water, la raccoltina di cover illustri Burning Your Light dell’anno successivo e la conferma di Dream from the Deep Well del '23. Brigid è ormai lanciatissima e non sta mai ferma, e torna a giro abbastanza stretto con un disco di cover, Songs for You, con le sue rese di varie canzoni amate dal padre, a quanto pare recentemente scomparso.
La nostra fa la cosa migliore da fare con delle cover, ovvero sforzarsi di appropriarsene piuttosto che adagiarsi su uno spaccacogl un tedioso concetto di tributo, forte di un gruppo all’osso che fornisce la sezione ritmica mentre lei si giostra tra chitarre, organo, fisarmonica e la sua voce di gentile e versatile mezzosoprano (almeno, così pare al mio orecchio di troglodita). Il repertorio è squisitamente anni '70 e dintorni, con eccezioni (tipo la conclusiva You Don’t Know Me, cantata da Eddy Arnold a metà anni '50 e resa famosa da Ray Charles), e spazia un bel po’, toccando le sponde di Mastro Bert Jansch (una mesmerizzante Fresh as a Sweet Sunday Morning), dei Television nientemeno (una bizzarra resa di See No Evil); del conterraneo Grande Vecchio Christy Moore (una Missing You di inconfondibile irlandesità); del nonno del rock Roy Orbison (l’apertura di In Dreams); fino all’impresa di trasfigurare Neil Young senza nulla fargli perdere (Mellow My Mind). Un’altra ottima prova da un’artista che non sbaglia un colpo.
Il disco non è apprezzabile per intero su Bandcamp e devo ricorrere a Spotify, mio malgrado.
Per i sempre validi tipi dell’Arcana di Nantes abbiamo il primo disco da titolare di Elisa La Marca, asso dello liuto e della chitarra classica dal curriculum ragguardevolissimo, insegnante al Conservatorio Vittadini di Pavia e fondatrice del Quartetto di Liuti di Milano, specializzato in Rinascimento e primo Barocco italiano. Qui Elisa si cimenta sempre con quel periodo ma non già con materiale italiano, bensì prettamente inglese, di età elisabettiana. Il contesto è quello della masque o maske, spettacolo misto con dialoghi, canzoni e danze a cui i liutisti, suonatori e compositori, prestavano l’accompagnamento, attraverso brani popolari variate e fantasie di composizione originale. È questo il contesto in cui crebbe il grande John Dowland, che domina il repertorio del disco, assieme a Daniel Bacheler, Robert Ballard e Alfonso Ferrabosco.
Il repertorio è squisito e l’esecuzione, sempre per solo liuto, anche — molto Dowland dicevamo (splendide e inconfondibili A Fancy e Forlhorn Hope), molti brani anonimi di origine popolare, ma anche di italiani d’importazione come il già citato Ferrabosco (con l’esotica Pavan n. 6) e Laurencini di Roma (sua la Fantasia n. 4). Non manca l’illustrissimo Thomas Morley con la sua Pavan n. 3; e si segnala anche lo scoppiettante finale con l’estesa Monsieurs Almaine del Bacheler. Da non perdere se avete il benché minimo amore per il periodo elisabettiano, né so immaginare come mai non potreste.
Come accennavo, formulazione del riepilogo un po’ diversa: la NPR non cessa mai la sua sempre intrigante serie dei Tiny Desk Concerts, e qualche giorno fa è toccato a Yasmin Williams, astro crescente della chitarra in fingerstyle di Alexandria, Virginia di cui è uscito l’ultimo Acadia, raccolta di idilli appalachiani per i tipi della Nonesuch, mentre il congelamento della newsletter mi impediva di dirvene. Ne approfitto ora e così arriviamo a tre dischi, come ai vecchi tempi. Il concertino inizia con due brani dal nuovo disco, il vivace bluegrass di Hummingbird (ve ne dicevo qui) e Sisters, più raccolto e sofisticato col suo sviluppo che comprende marimba, archi e djembe attorno a un arpeggio incessante. Si prosegue e si chiude con due brani da Unwind del '18, primo disco “lungo” della Williams: l’incalzante Guitka e il pezzo di bravura Restless Heart. Vi lascio il concertino e Acadia per intero via Bandcamp, che saprà allietarvi con le sue molte collaborazioni — da Kaki King a Tatiana Hargreaves fino alla voce di Aoife O’Donovan nel bel singolone Dawning.
Passiamo a una sorpresa da Glasgow, dove risiede lo studiolo di nome TPot che pochi giorni fa ha proposto tre brani live dalla Langan Band di John Langan, tutti tratti da quel Plight O’Sheep che seppe stupefarmi nel '23 con la sua magistrale Americana in salsa caledone, fatta di brani lunghi, di sapientissima costruzione e capaci di riproporre gli stilemi della scuola revivalista scozzese con rinnovata intensità. Vi lascio alle rese magistrali della struggente Open Your Eyes, della sensuale Sweetness e della danzereccia Old Tom’s Waltz. Ripassare un po’ quel bel discone è stato un piacere.
In chiusura, non possiamo esimerci dal rendere omaggio alla recentemente scomparsa Marianne Faithfull, con una sua splendida incursione nel folk nella forma di Flandyke Shore, tradizionale reso noto dal Grande Vecchio Asceso Nic Jones. La voce deliziosamente ineducata, rotta e unica di Marianne si trova perfettamente a suo agio, forte anche dei cori delle sorelle McGarrigle, per un folk ristorativo.
E con questo abbiamo finito il riepilogo; ci aggiorniamo presto col ritorno di una rubrica. Passate una felice settimana quali che siano le vostre occupazioni, e alla prossima!
I link di Spotify li ho apprezzati molto.
Anche io preferisco Bandcamp!
Al solito, bella robetta.
Grazie!