Piffero Roundup #9: Cerys Hafana; Sarah Jarosz; Lizzie No
Inoltre: I Beddi; Niamh Bury; Sam Lee; Daisy Rickman; Steeleye Span e un po' di ritorni
Rieccoci!
La rubrica dei Roundup ha ormai assunto la sua forma definitiva di contenitore in cui parlo innanzitutto di nuove uscite in breve, laddove non sento di avere abbastanza da scrivere per una scheda singola — che sia per incompetenza percepita più fortemente del solito, mancanza d’ispirazione o desiderio di non ripetermi, e a prescindere dal mio giudizio sui dischi. È una soluzione comunque migliore rispetto alla vecchia formula con tre o quattro schede perché allenta la pressione, consentendomi di allargare il campo e segnalare più cose, visto che nulla mi vieta di includere pezzi singoli di altri artisti nel seguito. In conseguenza di questa evoluzione, già dalla volta scorsa ho iniziato a indicare nel titolo principale gli artisti di cui presento un disco, il che è sperabilmente più di richiamo rispetto a delle date che si evincono comunque. Come sempre arrivo alle soluzioni più convenienti per tentativi ed errori e in modo organico; mentre le decisioni a tavolino non mi portano mai da nessuna parte, per quanto mi ostini a riprovarci. È come son fatto.
Ad ogni modo l’anno entra nel vivo e i dischi finalmente escono, e che questo riepilogo sia così a dominio femminile è casuale (non che me ne dolga, comunque). Ribadisco i link alle ultime due schede, e non pongo altro tempo in mezzo.
Vi dicevo la volta scorsa dell’artista gallese Cerys Hafana e di come non sapessi di sue nuove uscite discografiche: alla fine il suo EP The Bitter (realizzato per il podcast Old Tunes Fresh Takes) era imminente, uscito appena il giorno dopo la newsletter, ed eccoci qua. Abbiamo cinque tradizionali arrangiati; oltre a Child Owlet che conoscevamo abbiamo una The Bitter Withy abbastanza classica e dominata dall’arpa tripla, e ben più coraggio negli altri tre brani, cui sono molto legato ma di cui apprezzo questa nuova torsione: ecco un’orrorosa Lyke Wake Dirge che, assieme alla Willy O’Winsbury condita dai versi in gallese di Iestyn Tyne, mi rinvia ai miei amatissimi Pentangle; bizzarra invece The Wife of Ushers Well, in una versione meno enfatica e più inquietante di quelle solite (quale quella degli Steeleye Span). Goth il giusto, molto gallese che è sempre bene, e in generale ben fatto. Promosso!
Ve lo lascio da ascoltare da Bandcamp; e a proposito di cambiamenti, non ve lo dico più.
Uscito anche Halfsies, terza prova di Lizzie No, musicista newyorkese di cui vi dissi a inizio anno in occasione del singolo Annie Oakley. Il disco, autoprodotto e già molto ben accolto dalla critica di settore, presenta un amalgama di indie rock marcatamente East Coast e Americana sorretto su un concept sotterraneo, che ha per tema il senso di sradicamento che ancora grava sugli afroamericani. Al mio orecchio, è giunto più intrigo per il potenziale di questo intreccio sonoro che non per ciò che il disco offre in atto; e sarà che con l’indie rock di oggi non lego molto, ma non sono rimasto conquistato. Nulla da dire sulla fattura comunque, e mi sento di segnalarlo senz’altro.
(Il sinolo aristotelico parlando di un disco indie, solo qui al Piffero!)
Così come doverosamente segnalo, sempre più che per quel che potrebbe esserci che per quel che c’è, Polaroid Lovers, nuovo disco di Sarah Jarosz di cui avevo già girato qualche pezzo. Se ho da aggiungere qualcosa, è che la confezione a base di foto con effetto d’antan è piacevole; come lo è il disco stesso, fatto per consolidare la fama di Sarah nella sua Nashville e a non uscire di lì. Se vi piace questo tipo di offerta, date una buona orecchiata. Vi lascio anche il video a Runaway Train (cover dei Soul Asylum), uscito di fresco e che non avevo proposto.
Si riaffacciano i già citati Span per promuovere il loro The Green Man Collection, che si conferma essere l’ennesimo disco di reincisioni dei classici. Questa volta tocca a un singolone storico come Hard Times of Old England, che ultimamente pare capitare molto a fagiolo, il quale viene ucciso, cremato e le sue ceneri sparse al ve rinnovato con la presenza di (glom) Francis Rossi degli (glom) Status Quo. Il risultato è quello che ci si aspetta da queste operazioni spannesche, ovvero una boomerata riccardona & maiuscola tale che, tastandomi la nuca mentre ascoltavo, potevo percepire un codino nuovo nuovo sapendolo già candido. Cari Maddy e soci, il posto nel mio cuore non ve lo leva nessuno; ma a questo giro, come tanti altri della vostra lunga storia, non ci siamo affatto. Comunque propongo.
Sempre in campo folk isolano, due segnalazioni di peso accomunate dal tema del recupero del contatto con la natura: la prima è il ritorno della tenebrosa musicista e pittrice Daisy Rickman, che si sovraincide con varie voci e due o trecento strumenti per la sua suggestiva Feed the Forest, preludio all’imminente disco Howl (che non è l’ululato, ma il sole in lingua cornica).
Segue il freschissimo nuovo singolo di Sua Folkità Sam Lee: Meeting Is a Pleasant Place è una canzone attribuibile alla comunità gitana del Devon, trasformata dal nostro in un “English folk gospel” con l’aiuto del coro Trans Voices, composto appunto di membri della comunità trans britannica. Il risultato è un’esaltazione dell’incontro in ogni senso che potrà riuscire troppo enfatico a qualche palato ma per me, complici anche le splendide riprese naturalistiche del video, è di una bellezza struggente. Ricordo che il disco Songdreaming (titolo che occorre proprio in questo pezzo) esce a marzo, e mi aspetto già che contribuirà pesantemente a fare il mio 2024 musicale.
Passiamo velocemente in Italia, anzi in Trinacria, coi Beddi, cui è stata commissionata la canzone ufficiale del Carnevale di Acireale con video puparo a corredo. A centro di munnu (dove si trova appunto Acireale, anziché Gerusalemme come ero convinto fino all’altro giorno) è un pezzo in pieno stile Beddi, bello corposo e dalla produzione tonda tonda che ben dispone.
Un po’ di nuovi pezzi di artisti che vi ho già segnalato per chiudere; rimando le novità ché altrimenti questo riepilogo non esce più: Bé Mankan, nuovo brano dal vivo del Balimaya Project; Anyway Always, terzo singolo dal nuovo disco di Katherine Priddy in uscita a febbraio (yum yum) su toni alquanto thompsoniani; e dall’Ibernia Budapest di Niamh Bury, di cui è finalmente annunciato il disco di debutto: Yellow Roses, per i tipi della Claddagh, in arrivo a fine marzo. Si riconfermano una timbrica molto interessante con dei bei gravi e una consapevolezza ancora in divenire sul piano della scrittura; mentre gli sforzi in termini di arrangiamento sono una gradita sorpresa.
Vi lascio ai pezzi e alla prossima!