Piffero Roundup #14: Ana Lua Caiano; Fire Draw Near; Sam Lee
Inoltre: mini-reportage di un incontro con l'ensemble Murmur Mori
Eccoci di nuovo! Complice la Pasqua (che regge poco come scusa a questo punto, mi rendo conto) sono in ritardissimo su quelle che erano le mie intenzioni, e ci ha rimesso soprattutto la copertura di un evento a cui ho assistito e che avrebbe meritato più tempestività (ci torno più sotto). Un seguito inglorioso all’uscita precedente, in cui, avrei saputo solo in seguito, ho azzeccato un’anteprima mondiale al primo colpo! Mi riferisco ovviamente a quella dello squisito Pomegranate degli India Electric Co., che nel frattempo è uscito. Vi esorto ad andare a vedere per conoscere il mio parere se non l’avete già letto, e per dare un ascolto.
Come dicevo, ci son messe di mezzo le feste, peraltro passate bene, e ahimè! se il flusso si ferma la newsletter inizia a ristagnarmi nel cervello, esito a portarla all’esterno e più questo circolo va avanti, più è arduo romperlo. Ma ora ce l’ho fatta; non perdiamoci d’animo e proseguiamo.
Cominciamo dal già preannunciato Sam Lee, il reinventore del folk, attivista per l’ambiente, guida naturalistica, studioso degli usignoli e altre due o trecento cose che a marzo ha finalmente dato seguito al suo magnus opus rimasto fermo a Old Wow (bel discone con copia di ospiti di cui vi dissi in occasione della riedizione con tracce extra, di ormai quattro anni fa). Mi esprimo così perché la sua esplorazione del folk isolano, a mio sentire, procede tramite dischi che procedono in modo incrementale, aggiungendo a un repertorio da considerare complessivamente e mantenendo sia una grande coerenza orizzontale che un costante livello qualitativo, per mantenere il quale il nostro si prende il giusto tempo fra un progetto collaterale e l’altro. In questo nuovo Songdreaming, rispetto al precedente, troviamo un analogo carosello di umori (dal melanconico, al trasognato, al contemplante, al vitale, fino all’urgenza della magnifica, agitata apertura di Bushes and Briars) a fronte di un maggiore raccoglimento (le ospitate si limitano all’intervento del coro Trans Voices in Meeting Is a Pleasant Place, sontuosa variante sul tradizionale Courting Is a Pleasure con un crescendo di delizioso sdilinquimento). Il disco è composto di medio-lunghi che vanno via d’un fiato, dall’afflato pienamente tradizionale di una Green Mossy Banks con sentori di Arvo Pärt passando per l’incalzante Dreams of the Returning, le ariosità sotto continuo di McCrimmon e una sorprendente Black Dog and Sheep Crook. Produce e schitarra ancora Bernard Butler, e non posso che raccomandare l’intero lavoro di questo mattacchione se avete il minimo interesse per la ricerca in ambito folk revival. Sorprende come previsto, chiama a raccolta e incanta. Vi lascio anche i video, comprensivi di riprese naturalistiche da non perdere.
Prima di passare a un altro disco, continuo a raccomandare Fire Draw Near, podcast di musica tradizionale dal piglio musicologico curato da Ian Lynch dei Lankum. Il podcast procede molto a rilento dati i crescenti impegni del nostro, ed è fermo da circa un mese con l’episodio LIII, a tema Palestina. Qui voglio concentrarmi però sull’uscita precedente: oltre alla serie regolare, il podcast è gremito di puntate speciali dedicate a un singolo tradizionale, con considerazioni sulle sue possibili origini (non sempre semplici da ricostruire, anzi) e con dovizia di esecuzioni. Questa in particolare è dedicata a Santiano — o Santianna, Santy Anno, Santy Anna, o The Plains of Mexico — storica sea shanty dedicata ad Antonio López de Santa Anna, ufficiale messicano dei tempi della guerra messico-statunitense: ne avete certamente udito la melodia in varie salse, ed è particolarmente spassosa per come ne immagina un trionfo in realtà mai avvenuto, facendo del Santa Anna un fantasioso eroe di filibustieri e disertori in genere. Curioso come appaia anche, con testo cambiato, nella colonna sonora del videogioco RPG Pillars of Eternity II: Deadfire, di ambientazione piratesca. Né può mancare la versione dei Watersons, si capisce.
Trasferiamoci a Lisbona per Vou Ficar Neste Quadrado, primo, notevolissimo disco — preceduto solo da un live e un EP — della perentoria Ana Lua Caiano. Dopo estesi studi musicali e, pare, l’esperienza di un’insoddisfazione invincibile nel suonare in insieme, in occasione della pandemia l’artista inizia a sperimentare da sola, mette insieme il proprio set a base di percussioni, sample e sintetizzatori e porta a maturazione la sua proposta, fatta di groove pestati ed elettroniche al servizio di episodietti musicali su fatti di vita (raramente un brano supera i tre minuti, e il disco nel complesso non raggiuge la mezz’ora) ispirati alla musica tradizionale portoghese — intesa come quella più sotterranea, proveniente dalle campagne, a trasmissione orale, da cui Ana Lua trae anche il gusto per uno stile declamatorio nell’uso della voce e per la costruzione di linee coristiche mediante voci pre-registrate. A corredo del tutto dei video scarni, girati in un singolo ambiente, e di fascinosa inquietudine, con la sua figura minuta e la sua aria misantropica e penetrante a farla da padrone.
Vi lascio al disco, ai video — raccomando in particolare quello della funerea Deixem O Morto Morrer, proposta nel disco anche in versione a cappella, la cui carnale sacralità mi ha deliziato — e all’esibizione per il canale KEXP, carica di solinga energia. Sorprendente.
Chiudiamo il riepilogo con un mini-reportage dell’evento cui vi avevo accennato: torno a parlare dell’ensemble Murmur Mori (vi raccomando la mia scheda sul loro Canzoneta, va!, se ve la siete persa) che ho avuto il piacere di vedere esibirsi il 23 marzo in una sala del Museo Archeologico di Milano: l’occasione fu la presentazione, organizzata da Italia Medievale (volesse il cielo, tra parentesi) del saggio Carmina Burana: Una doppia rivoluzione di Davide Daolmi, professore associato di Storia delle teorie musicali e Storia della musica medioevale e rinascimentale nell’Università degli Studi di Milano (che qui chiamiamo “la Statale”, perché sì). Il professore ha parlato del Codex Buranus, di redazione altoatesina e vera e propria origine del genere del canzoniere, della ben nota interpretazione di Orff dall’accuratezza storica nulla e dalla tardiva popolarità (non se ne parla davvero prima degli anni ‘80) e del precedente revival della musica antica a partire dagli anni '50, su uno sfondo smaccatamente controculturale e antiborghese — una piacevole conferma di come abbia abbastanza senso fare come ho fatto, ovvero impazzire per la musica antica situandomi a destra di Henry Thoreau.
Il Murmur Mori, dal canto suo, ci delizia subito eseguendo lì per lì la Toza, brano di apertura del loro disco, tanto per ingannare l’attesa, dopodiché Mirko Volpe disserta sull’origine della loro strumentazione ricostruita — apprendo così che la guiterne in italiano si può chiamare quinterna, per nulla beata ignoranza! — e su come proprio il Codex sia una fonte preziosa di illustrazioni degli strumenti d’epoca; spassose in particolari le considerazioni sul mistero dell’organo portativo, che in ogni versione contemporanea è portativo a stento col suo peso e volume, mentre nelle miniature appare di dimensioni così contenute da risultare impossibili da riprodurre, almeno finora. Sono stato inoltre finalmente edotto sull’origine del nome del gruppo, il cui latino eterodosso mi ha sempre dato perplessità: “murmur” è come previsto il mormorio, e rimanda al raccoglimento che le loro esibizioni evocano naturalmente nel pubblico; “mori” rimanda al verbo “morire” — e fin lì c’ero — ma è anche giapponese per “bosco”; i due termini sono affiancati senza connessione grammaticale, per l’effetto allitterativo. Chiaro. Si chiude con l’esecuzione di tre carmina del Codex su composizioni originali e col ciclo di domande dal pubblico; dopodiché il tempo è tiranno e la sala va ceduta, l’ensemble mi pare in altre faccende affaccendato e così, con un po’ di rincrescimento, me la filo all’inglese. Un pomeriggio ben trascorso.
Per questo riepilogo è tutto; prossimamente ci do sotto, forse aprendo una nuova rubrica saltuaria e sicuramente con un po’ di riepiloghi, che conto di incentrare su dischi usciti a scapito delle canzoni singole — per l’ottima ragione che è primavera, i dischi escono e rischio di non starci dietro come voglio. Alla prossima e non perdete la speranza che la newsletter torni a consolarvi, anche nell’ora più buia.