
Eccetto che per la Playlist dell’Avvento (che spero abbia saputo allietarvi le feste), è da oltre un paio di mesi che nella newsletter tutto tace — niente articoli, niente segnalazioni, niente riepiloghi, niente. E fin qui, è tutto evidente.
Come accennavo un editoriale fa, novembre e parte di dicembre sono stati segnati da un estemporaneo, nonché imprevisto, incremento degli impegni lavorativi che mi è stato di grosso impedimento. La situazione si è assestata a dicembre; ma a dicembre era l’Avvento, e c’è una ragione se mi preoccupo tanto di celebrarlo.
Perché celebro il Natale, ok. Ma collego il Natale alla speranza per via di quel che viene prima: la melanconia. Cerco di andare con ordine.
Vedo all’orizzonte delle novità positive sul fronte lavorativo, dopo molti mesi di magra. Ciò mi fa certamente piacere, ma apre anche a riflessioni sul passato e sul futuro, e ho sempre avuto una testa troppo rapida per il mio stesso bene. Ho pensato alle difficoltà passate, alle molte porte chiuse, ai molti “NO” tuonati perché non avevo, nella vita, priorità più alta che essere lasciato stare. Il senso di inadeguatezza mi ha sempre morso il cuore. La cosa si riverbera anche nel tema principale di questa newsletter, ovvero la musica. Ma anche le arti e i media in genere.
L’ho accennato a varie riprese: sono il folkettaro che sono allorché, ormai oltre vent’anni fa, mi tuffai in un passatismo totale; e non penso di aver fatto male, fu di certo per scoprire molta musica che sinceramente ho amato. Allo stesso tempo, però, fuggii dal presente. E non posso nascondermi che lo feci perché quel passato che tanta bellezza mi dischiudeva era anche sicuro.
Non ho perso nemmeno adesso l’abitudine di badare che un libro che sto leggendo sia voltato quando lo appoggio da qualche parte, in modo che il titolo non si veda. E in gioventù, quando iniziavo a popolare l’apposito mobiletto Ikea di CD, mi rassicurava che i nomi fossero quelli di Richard Thompson, o dei Pentangle, o dei Planxty, o i progster vari — di gruppi celebrati, consolidati, o piccoli, o sciolti da tempo immemore, o una combinazione di questi.
Chi ci fosse passato davanti avrebbe probabilmente pensato: “Be’, e questi chi cazzo sono?” — e niente più di questo. Perfetto.
Allo stesso tempo — perché questa della musica era una proiezione di qualcos’altro, si capisce — mi piaceva dilettarmi di tutto, leggere di tutto, trastullarmi con tutto, per non patire il peso di diventare mai alcunché. O d’altro canto, per un desiderio inesauribile di essere tutto, di fare tutto. Desiderio legittimo e anzi bello, ma a cui si deve rinunciare una volta o l’altra. Abbastanza presto, possibilmente.
Le due tendenze convergono in un punto chiaro: vivere nascosto. E tutto si tiene.
Oggi, con nuove prospettive all’orizzonte, speranzoso e voglioso di poter crescere in modi nuovi quanto esasperato dalla mia vita passata, mi sono detto che sarebbe davvero la volta buona che decidessi “che cosa fare da grande”.
È stato allora che quella belva mi ha morso di nuovo. Non sei all’altezza.
E mi sono sentito tremendamente stanco di tutto ciò.
Ho ripreso in mano il mio rapporto, mai facile, col desiderio. Avrei voluto cancellarlo, tanto tempo fa. Ma non si cancella, e mentre mi ingrigisco, mi rassegno al fatto di doverci avere a che fare. Come ho rallentato un po’, la mordente infelicità della mia giovinezza mi ha assalito di nuovo. E ho capito che non posso più indugiare un momento, o sono perduto.
Per prima cosa dunque, mi sono chiesto se voglio continuare con la newsletter. La risposta è sì, anzi, voglio incrementare gli sforzi, che esca di più e che cresca di più. E ciò per il solo motivo che è una cosa che desidero1.
L’idea generale è di uscire due volte la settimana: una volta con un riepilogo (il Piffero Roundup a numerazione progressiva) più condensato e svelto da produrre rispetto al passato, tale da non soverchiare il lettore con troppi ascolti tutti insieme; una seconda volta con un’altra rubrica. Tipicamente si tratterà di una scheda singola, meno spesso sarà un’uscita tra:
Giochi del Piffero, in cui parlo di un videogioco a ruota libera;
un Piffero Reportage, se al dio dei concerti piace che ne spunti uno interessante e raggiungibile coi miei mezzi;
editoriali come questo, se e quando ne occorrono;
altro che può venirmi in mente.
Quest’ultima voce mi ricollega al secondo tema importante: se devo decidere che cosa fare da grande, devo anche decidere di focalizzarmi. E segnatamente, di leggere più libri di musica: pur essendo un lettore più che forte ho lasciato sempre la cosa in secondo piano, in favore di altri argomenti che reputavo più cogenti (e soprattutto in cui ero meno direttamente investito, ammettiamolo). Non che non abbia mai letto nulla, ma per esempio, nell’anno ormai trascorso… niente, nonostante la coda sia già ragguardevole. E così non va, se voglio curare questo spazio. Senza ricadere in altri estremi, libri su musica, spettacolo, musicologia, storia della musica, nonché biografie di musicisti entreranno nella mia dieta stabilmente2, e chissà che non ne scriva in una nuova rubrica libresca. Vedremo.
Oltre a questo, ci saranno anteprime da accaparrarsi (un paio già ci sono, non nel brevissimo termine comunque), mail da mandare e contatti da creare.
No, non mi aspetto di mantenere la cadenza sempre, sono anzi quasi certo di non riuscirci. Ma è un obiettivo a cui tendere, chiaro e definito. Ho proceduto a tentoni abbastanza.
No, non mi sento abbastanza preparato. Ma non mi ci sentirò mai, e comunque ho saggiato il terreno abbastanza da sapere che ho una voce interessante quanto basta, che i miei consigli sollazzano almeno qualcuno; e ho visto abbastanza prosa musicale da sapere che, se pure non farò meglio della media e della moda delle penne presenti, non c’è alcun modo in cui possa far peggio. Soprattutto quello che definisco il “registro Millennial”, caratterizzato dall’alternanza di distacco ironico, autocommiserazione e provocazioni ritrattabili, e in ogni caso segnato da codardia esistenziale, mi è ormai del tutto illeggibile, mi urta il sistema nervoso e sento che va combattuto con ferocia belluina — o in maniera più modesta, con qualunque controproposta di cui sono capace. Per parte mia mi sono dichiarato fin da subito appassionato e nulla più, mi sono mostrato vulnerabile il giusto, ho comunicato le mie impressioni come tali, mi sono sforzato sempre di presentarvi i dischi per quel che sono e per il contesto in cui nascono e ho cercato di creare un ambiente sereno che segnala senza sputtanare. Va benone così, con le migliorie che saprò trovare.
Per il resto, ha senso scrivere di musica oggi? Giuseppe di Lorenzo su Ubu Dance Party non risponde, ma offre un quadro abbastanza chiaro per portarmi a concludere che può averlo, sì. Vediamo di trovarlo allora.
Con tutta la fatica che faccio per attaccare a scrivere, ho sempre i post in mente. Newsletterina, mi sei mancata.
E alla prossima. Buon anno!
Imparo sempre le cose più evidenti e utili con enorme ritardo. In particolare il modo in cui si decide in generale della propria vita, una lezione antichissima ben sintetizzata da Nassim Nicholas Taleb in Antifragile con queste parole:
[S]e avete più di un motivo per fare una certa cosa (scegliere un medico o un veterinario, assumere un giardiniere o un impiegato, sposare qualcuno, fare un viaggio), non fatela. Non significa che un motivo sia meglio di due, ma solo che adducendo più di una ragione vi state semplicemente autoconvincendo a fare quella data cosa. Le decisioni ovvie (robuste all’errore) non richiedono più di un motivo.
Darsi più di un motivo significa razionalizzare la scelta. Ma se la scelta ci pare quella giusta, se ci ha convinti, perché mai razionalizzarla? Era tanto semplice.
I problemiLe scuse a questo proposito erano due: 1) molti libri stranieri, da comperare dunque (e finora ho dovuto pensarci molto bene prima di comprare libri; ma ciò dovrebbe cambiare); 2) il timore preventivo che, dato l’argomento, sarei caduto facilmente nel da me detestatissimo midcult. Dimentico che, con saggi informativi e lievi, al midcult in realtà si sfugge. E comunque, se anche mi capita una volta, mica mi mangia 'sto midcult.
Partire dal desiderio per trovare un senso alla scrittura credo sia la cosa più bella che si possa fare. Non è facile, perché la malinconia mina il desiderio, ne disinnesca gli elementi di spontaneità e quindi anche la produttività, però è anche il modo con cui scrivere viene più facile. Non vedo l’ora di leggere le nuove riflessioni e le nuove proposte del Piffero, uno dei pochi angoli di web in cui la banalità non viene accolta ma scacciata a colpi di folk.