Piffero Roundup #28
Jim Ghedi; Dichos Diabolos e Sfere Vocali; La Banda Morisca; Trucs; Luis Peixoto; The Dead South; RÓIS
Piffero Roundup è la rubrica con cui tengo il passo delle musiche che ci interessano, raccontandovi un paio di dischi e qualche brano singolo di recente uscita.
Partiamo da Sheffield con Jim Ghedi, astro ormai sorto del dark folk del cui nuovo Wasteland vi avevo accennato; nel mentre il disco è uscito. Sono stato latitante nel coprire Ghedi finora — se il suo ultimo In the Furrows of Common Place risale al '21, quando avevo cominciato, meno scusabile è l’aver saltato il disco in coppia con Toby Hay di due anni dopo, e me ne sono occupato solo in occasione del bell’EP da due tracce I Am A Youth That's Inclined To Ramble, in cui la sua tendenza all’enfasi quasi al limite del bon ton viene sapientemente tenuta sotto controllo dalla cointestataria Cinder Well, nome d’arte della mia amatissima Emilia Baker.
Wasteland, coprodotto con dal nostro e da David Glover, è nientemeno che il disco più ambizioso di Ghedi, che si riferisce senza troppe sottigliezze a Eliot per una sorta di concept sul nuovo periodo di grande difficoltà che sta incontrando il Regno Unito, un po’ meditabondo, un po’ rumoroso, un po’ persino apocalittico e incline alla profezia di sventura. Il risultato è ottenuto con un gruppo relativamente ristretto (molti brani sono a quartetto) che sebbene lasci sempre in primo piano la voce baritonale e stentorea del Jim, non si fa molti problemi a lasciare il folk con un piede per scivolare in territori heavy e pestare duro (i quasi-stoner di Sheaf & Feld e del brano di apertura Old Stones), a corteggiare il drone (What Will Become of England, Trafford Road Ballad), ardire in un medley zampognato (Newtondale/John Blue’s), passando per territori prog e shoegaze a cui comunque il folk si sottomette sempre (Wasteland, Wishing Tree). Il gruppo si ritira in un paio di episodi più raccolti: Just a Note inizia per sola voce e si sviluppa con un accompagnamento minimo di fiddle e contrabbasso suonato ad arco; ed è notevolissimo il brano a cappella The Seasons, poesia di Joseph Campbell cantata a quattro voci con Ruth Clinton, Cormac MacDiarmada dei Lankum e la già citata Emilia Baker.
In complesso un bell’ottovolante dark folk, in cui si sprofonda e si riemerge per un bel viaggione che si mantiene in equilibrio ben più di quanto temessi sulle prime. Qualcuno potrebbe trovarlo un po’ sovraccarico e persino tronfio, ma raccomando vivamente di toccare con mano.
Era un po’ che seguivo l’ensemble Dichos Diabolos, sestetto specializzato in “musica alla maniera spagnola” con recuperi più o meno illustri dei repertori di Rinascimento e primo Barocco, forti di una sopraffina strumentazione comprensiva di clavicembalo, dulciane e bombarde, cornetto e flauti, violino e viola da gamba, e attualmente della voce di soprano di Belén Vaquero Hernández.
Soprattutto mi chiedevo quando si sarebbero decisi a pubblicare alcunché, e finalmente (già da un po’ in realtà…) ci siamo: questo ¡Oyd, oyd! li vede collaborare con un altro ensemble, ma vocale: le Sfere Vocali di Catalogna, per un disco tutto incentrato su brani di Francisco Guerrero, grande polifonista prebarocco pressoché contemporaneo dell’ormai prepotentemente di moda Tomás Luis de Victoria. Il genere è quello del mottetto, più spesso sacro, dove Guerrero si è distinto diffondendosi soprattutto in America Latina, e lasciando almeno un brano riconoscibile su larga scala che è Pues la guía d'una estrella (presente nel disco in chiusura). Il contrappunto di Guerrero lascia sempre con testi intelligibili e melodie memorabili evitando enormi adornazioni, aggiungendo, da bravo spagnolo, un bel lavoro sul ritmo. Da godere in particolare, oltre al già citato Pues la guía d'una estrella, anche la divertente Oyd oyd una cosa e Ancol que col partire; ma anche l’apertura con A un niño llorando è notevolissima. Da godere.
Passiamo ai brani singoli. Dopo qualche riepilogo riecco una sessione dal vivo della Banda Morisca dall’Andalusia. Se Solito me voy era una rumba, questa Cardamomo y té è un bel tango arabeggiante. Ancora nulla so di un altro disco.
Passiamo a una bizzaria da Pau, nella Nuova Acquitania: dai misteriosi tipi della Pagans ci giunge un assaggio dei Trucs (“I cosi”), duo musicale composto da Alexis Toussaint & Romain Colautti che uniscono percussioni, campane, tambourin à cordes e campionature da utensili vari per una proposta martellante, da trip artigiano: questa Pujada mi intriga inquietandomi, vi lascio a pensarci su.
La scorsa estate vi avevo lasciati in compagnia di Synchronized Chaos, brano di Luis Peixoto, ultrapreciso asso delle mandole di Coimbra, che giocava sulla sincronizzazione spontanea di una serie di metronomi (ci misi un po’ a capirlo perché avevo presente solo l’esperimento fatto con le pendole, abbiate pietà di me). Di un disco nulla sapevo e nulla continuo a sapere, ma ora c’è un singolo nuovo: Individuation unisce qualche linea vocale senza parole a tre distinte mandole sovraincise (bouzouki, mandolino e bandolim) per un risultato che sembra quasi elettronico ma non è. Luis è sempre molto geometrico e interessante soprattutto per la sua capacità di esplorare le possibilità dello strumento, con un risultato che rimanda sempre a un folk astratto, pulito, da videogioco per tutte le età.
Andiamo avanti e andiamo in Saskatchewan, lo stato del sud sede appunto dei The Dead South, alfieri del bluegrass inquietante e umorale. Si tratta di due brani live: il primo è Broken Cowboy da Sugar & Joy del '19; il secondo è la cover di You Are My Sunshine tratto dal dittico coveristico Easy Listening for Jerks del '22, cui dedicai una delle mie primissime schede, di quelle che originariamente proponevo su Facebook. Figli che tempi! adesso nemmeno ho più l’account (ma le schedine le ho salvate tutte qui, usandole per debuttare).
Sapete che senza Ibernia qui ci viene la nostalgia della casa in cui non abbiamo mai vissuto e chiudiamo con la dama del mistero RÓIS dal Fermanagh. Vi avevo parlato qualche riepilogo fa del suo MO LÉAN, straziante danza fra trip-hop, elettronica e sean-nós; ora abbiamo il video selvadego di FEEL LOVE, ottovolante emotivo che chiudeva il disco. Con questo vi saluto e vi aspetto alla prossima, con la playlist fresca fresca!